Fra poche settimane si chiudono i primi 25 anni di questo secolo (nonché di questo millennio); abbiamo pensato che fosse il momento buono per provare a fare un sunto di quanto successo a livello economico e sui mercati. E’ stato un lavoro di ricerca piuttosto pesante che ha dato dei risultati a nostro parere interessanti. Oggi vi proponiamo le considerazioni emerse lato geoeconomia e lato asset allocation, mentre fra due settimane condivideremo con voi la parte sui mercati finanziari e quella sull’evoluzione del settore della gestione del risparmio in Italia.

Venticinque anni sono tanti, la memoria ricorda solo alcune cose che ci hanno particolarmente colpito e allora li abbiamo divisi in cinque sottoperiodi a livello geoeconomico:
- 2000-2005: il boom di internet e delle telecom con il Nasdaq che supera i 5000 punti all’apice di una cavalcata quasi inverosimile, le torri gemelle, la rapida globalizzazione post ingresso della Cina nel WTO e la nascita dei BRICS, la recessione globale e l’indice tecnologico americano che perde in due anni e mezzo il 78% del suo valore.
- 2006-2012: l’apice della parabola di successo delle banche con acquisizioni a prezzi folli (ABN Amro in Europa, Antonveneta in Italia), la crisi dei mutui subprime USA e la grande crisi finanziaria e recessione economica che ne derivano, il fallimento di Lehman Brothers con la finanza a un passo dal disastro, la crisi dell’Eurozona con la Troika e il “whatever it takes” di Draghi, la nascita del QE.

- 2011-2015: il valore delle materie prime che sale grazie alla domanda cinese con petrolio a 140 usd al barile e la peak oil theory, il consolidamento del potere dei paesi emergenti, Cina in testa, gli Stati Uniti che iniziano la shale revolution, le primavere arabe portate dall’aumento del prezzo di cibo ed energia.
- 2016-2022: gli anni del populismo e dei movimenti nazionalisti con la Brexit e il Trump I, della guerra commerciale USA-Cina, del Covid e degli stimoli fiscali a pioggia, dei tassi negativi che dominano il mondo obbligazionario dei paesi sviluppati, dell’esplosione inattesa dell’inflazione in mezzo mondo, delle guerre alle porte dell’Europa, della green transition europea e dell’energy transition planetaria.
- 2023-2025: gli anni del boom tecnologico made in the USA fra cloud, datacenters e AI, del dominio americano a livello geopolitico (dazi, protezionismo, reshoring) e di mercato (MAG7 e strapotere delle aziende americane negli indici), del Global South che si unisce, della corsa agli armamenti e dell’esplosione di deficit e debiti statali.
E oggi? Vediamo quattro importanti cambiamenti in atto a livello geoeconomico che pensiamo possano essere dei trend di lungo periodo: la crescita dei regimi politici ibridi “autocrazie democratiche o democrazie illiberali” che dir si voglia (Turchia, Ungheria e Pakistan), la parziale deglobalizzazione con commercio mondiale e catene produttive che si regionalizzano anche a causa dei dazi medi saliti molto, un concetto di crescita economica che diventa il fine primo di uno stato (lo abbiamo visto a più riprese con interventi straordinari di politica monetaria e di politica fiscale che hanno portato a due decenni praticamente senza recessioni come vedete bene nel grafico di Andromeda Capital) e infine la presenza sempre maggiore di aziende (americane) enormi che grazie a posizioni mono o oligopolistiche sono oggi importanti quanto degli stati se non di più. Non necessariamente dei cambiamenti auspicabili.

E lato asset allocation di portafoglio cosa è emerso da questa ricerca lunga 25 anni? Quattro elementi a nostro parere importanti e utili per gli investitori:
- Il “world portfolio” (grafico di Goldman Sachs), inteso come l’insieme degli assets finanziari mondiali sui quali si può investire è arrivato alla ragguardevole cifra di 250.000 miliardi di dollari, nuovo record, e non si compone più solo di azioni e obbligazioni come nel 2000 (solo 2% di assets fuori da queste categorie), ma ha anche una fetta importante di “alternative assets” (oro, private markets, hedge funds, criptovalute) che valgono oggi il 15% del totale.

- Siamo oggi in una situazione in cui il peso degli assets americani ha raggiunto il record assoluto e vale oltre il 50% del portafoglio medio di un investitore non americano. Mai è stata toccata nel periodo della nostra analisi una cifra di questo tipo e la conseguenza importante è che la diversificazione si abbassa (troppa presenza di equity Usa e di conseguenza di alcuni settori, troppi bond governativi emessi dagli Stati Uniti) con a nostro parere una erronea rappresentazione dell’economia mondiale (peso dei mercati emergenti in particolare assai sottorappresentato) e una eccessiva concentrazione.

- Dal 2009 a oggi abbiamo assistito nei paesi sviluppati principali ad una sovraperformance del mondo equity rispetto al mondo bond governativo molto pronunciata. Oggi il delta rendimento medio annuo è superiore ai 10 punti percentuali rispetto al classico 4-5%, alimentata negli ultimi anni anche da un pessimo andamento delle obbligazioni statali a causa della forte risalita dei tassi post inflazione e di governi sempre più indebitati. Questo elemento ci direbbe che il prossimo decennio sarà più favorevole al bond rispetto all’equity o che comunque l’attività di allocazione geografico / settoriale avrà un peso molto maggiore per ottenere buoni rendimenti.

- Lato prodotti è indubbio che la torta sia più ampia con nuovi strumenti nati e sviluppatisi in questo quarto di secolo. Oltre agli alternative assets già menzionati, ricordiamo la grande crescita degli ETF, strumento che da ormai un paio di anni ha superato come masse i fondi (grafico in proposito). Se pensiamo al grande sviluppo dei certificati, degli ETC (il primo tracker dell’oro nacque nel 2003 ad opera dell’ingegnoso australiano Graham Tuckwell) e ora degli ETF attivi, possiamo dire che gli investitori hanno a disposizione un numero di strumenti che non è mai stato così elevato e che offre la giusta soluzione per tutti, che si sia alla ricerca dell’alfa, del beta, del gestore di qualità o del low cost.

