Per combatterla lo Stato ha la fattura elettronica, le nuove misure per limitare il contante e poi le banche dati… Eppure si stimano mancate entrate tributarie per oltre 100 miliardi di euro. Da una parte c’è il solito groviglio burocratico, dall’altra le imprese che, non lavorando anche a causa della pandemia, non riescono a far fronte alle imposte.
Prima il «cashback», partito l’8 dicembre per incentivare gli acquisti con moneta elettronica restituendo il 10 per cento della spesa effettuata. Poi, da gennaio, la lotteria degli scontrini con premi fino a 5 milioni di euro per i clienti e un milione per i negozianti. Parallelamente nel 2021 scatta definitivamente l’obbligo per gli esercenti di usare il registratore telematico. E, infine, il 1° gennaio 2022 la soglia per l’uso del contante passerà dagli attuali tremila euro ai mille euro.
Siamo ancora in piena pandemia ma la macchina anti-evasione dello Stato non si ferma e continua a sfornare misure per cercare di stanare chi non paga le tasse. Pazienza se, come dice a Panorama Alberto Bagnai, responsabile economico della Lega, «in un momento come questo la lotta all’evasione non è la priorità». In effetti, se le aziende non fatturano è difficile che evadano. Ma è pure vero che nei prossimi anni l’Italia dovrà affrontare una montagna di nuovi esborsi. Spenderemo di più per la sanità, i trasporti, l’istruzione. Dovremo aumentare gli investimenti per far crescere il Paese. E occorrerà frenare un debito pubblico che nel 2020 è cresciuto di 194 miliardi. Come finanziare questi ulteriori esborsi? Aumentando le tasse? Improbabile, il governo promette addirittura di ridurle. Con la fantomatica patrimoniale? Difficile. Forse, dunque, sarebbe il caso di tornare alla carica contro quel mostro gigantesco dell’evasione fiscale, con cui ci battiamo da anni con risultati peraltro modesti. Una lotta che diventa eticamente necessaria: il mantenimento del sistema sanitario e del welfare a favore di chi ha sofferto i danni del coronavirus non può rimanere a carico sempre dei soliti noti che pagano le tasse mentre tanti furbetti vivono sulle spalle degli onesti.
Secondo l’ultima relazione della commissione istituita nel 2016 per studiare il fenomeno, presieduta da Enrico Giovannini, l’evasione fiscale nel triennio 2015- 2017 è stata pari a circa 107,2 miliardi di euro all’anno, di cui 95,9 miliardi di mancate entrate tributarie e 11,3 miliardi di mancate entrate contributive. Per il 2018 la commissione stimava un calo dell’evasione di almeno 5 miliardi ma è probabile che nel 2020, a causa della crisi provocata dalla pandemia, il dato sia risalito. Il numero di 107 miliardi è impressionante e colloca l’Italia al primo posto in Europa per evasione fiscale. I motivi per cui nel nostro Paese si evade tanto sono riconducibili all’enorme platea di lavoratori autonomi e micro-imprese che possono sfuggire alla lente del fisco, come ricorda Carlo Cottarelli, economista, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani presso l’Università Cattolica di Milano. Un rapporto della Commissione europea prova che minore è il numero di occupati per impresa, maggiore è la percentuale di evasione dell’Iva.
Quali sono le tasse più evase? Come recita la relazione, «la parte più rilevante del gap è rappresentata dall’Iva, con una media di 36,2 miliardi all’anno. Seguono l’evasione Irpef da lavoro autonomo e impresa, che ammonta a circa 29 miliardi all’anno, quella Ires, con 10,1 miliardi, e infine il gap Irap con una media di 8,1 miliardi all’anno». In particolare nel mondo del lavoro autonomo la propensione ad evadere è elevatissima: l’imposta evasa rappresenta mediamente il 66 per cento e raggiunge in diversi anni circa il 70 di quella potenziale.
Quindi il bersaglio grosso da colpire è l’evasione dell’Iva: più o meno lo Stato non raccoglie circa un quarto di questa imposta e l’Italia è al primo posto in Europa in termini assoluti per perdita di gettito. Tra l’altro, abbattendo l’evasione dell’Iva si farebbero aumentare automaticamente le dichiarazioni dei redditi delle imprese e dei professionisti che provano a sfuggire all’imposta: a 100 euro di evasione dell’Iva corrispondono 120-125 euro di evasione di imposte a essa indirettamente collegate (Irpef, Ires, Irap). E infatti il Parlamento e l’Agenzia delle entrate da anni si muovono in quella direzione.
Il cashback, la lotteria degli scontrini o la riduzione della soglia per l’uso del contante hanno proprio l’obiettivo di far usare di più i pagamenti elettronici, che sono più tracciabili e rivelano se ci sono anomalie nei pagamenti dell’Iva. Ma una delle misure più efficaci è stato lo «split payment» introdotto nel 2015, che impone alle pubbliche amministrazione di versare all’erario l’Iva sugli acquisti al posto dei fornitori. Secondo la commissione Giovannini, questa misura ha portato a una diminuzione dell’evasione dell’Iva di 5 miliardi tra il 2017 e il 2018. Poi c’è stata l’introduzione della fatturazione elettronica e degli Indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa) al posto degli studi di settore, un sistema che dovrebbe premiare i contribuenti più onesti: un algoritmo considera il dichiarato dei cinque anni precedenti e attribuisce un voto, se supera l’8 niente accertamenti, se è inferiore a 6 potrebbe scattare un controllo. Un meccanismo che però deve ancora dimostrare la sua efficacia e che ha sollevato non pochi dubbi tra gli esperti.
Molti provvedimenti innervosiscono i piccoli imprenditori: «Dobbiamo adeguare i registratori telematici per gestire “il codice lotteria” e supportare la nuova procedura, un altro aggravio per le imprese che si trovano a sostenere costi aggiuntivi in questa fase di emergenza economica» lamentano alla Confartigianato. «Siamo di fronte ormai da anni alla fatturazione elettronica, controlli e tracciamenti bancari pressoché costanti. Le imprese sono stremate ed in questo momento così complesso non hanno davvero bisogno di altre incombenze».
Ma alla fine funzionano tutte queste misure contro i furbetti delle tasse? L’Agenzia delle entrate mostra con orgoglio i risultati ottenuti, in particolare dal 2015 in poi: il recupero dell’evasione è passato dai 14,9 miliardi del 2015 agli oltre 19 miliardi all’anno nei quattro anni successivi. Però il mostro non sembra aver patito troppo questi attacchi, se viaggiamo sempre oltre i 100 miliardi di evasione. Com’è possibile? Vincenzo Visco, economista, presidente del centro studi Nens, ministro delle Finanze dal 1996 al 2000, del Tesoro dal 2000 al 2001 e vice ministro dell’Economia dal 2006 al 2008 sostiene che «abbiamo raccolto poco rispetto alla potenzialità degli strumenti a disposizione. Gli scontrini elettronici non sono ancora partiti. La fatturazione elettronica non ha dato risultati soddisfacenti poiché è stata adottata in modo parziale, escludendo molte categorie. E le nuove iniziative, come il cashback e la lotteria degli scontrini, servono a poco: il primo verrà sfruttato da chi è già abituato a usare la moneta elettronica, la seconda ha lo svantaggio di non offrire premi istantanei ed è complicato accedervi».
Cashback e lotteria degli scontrini sono stati introdotti in Portogallo nel 2014 e hanno consentito di dimezzare l’evasione dell’Iva. Ma il meccanismo messo a punto a Lisbona è più semplice di quello italiano. E la Banca centrale europea ha scritto una lettera al governo lamentando di non essere stata informata riguardo a una misura che discriminerebbe chi usa il contante, in assenza di una chiara prova che il meccanismo di cashback consenta di conseguire la finalità pubblica della lotta all’evasione fiscale. Per il cashback il Parlamento italiano ha stanziato 3 miliardi di euro per gli anni 2021 e 2022 e c’è dunque il rischio che siano soldi buttati.
Quello che comunque appare incredibile è che, pur avendo le sue banche dati strapiene di informazioni su quanto guadagniamo, cosa possediamo e cosa compriamo, il fisco non riesca a stanare gli evasori. E qui entra in scena quello che Visco chiama «il convitato di pietra»: «Il Garante della privacy, che con le sue delibere rende sempre più difficile combattere l’evasione, impedendo l’utilizzo di dati sui contribuenti e in particolare dell’anagrafe dei conti correnti. Ha perfino bloccato il censimento dell’Istat e delle ricerche della Banca d’Italia perché venivano richiesti dati sensibili, è normale? È vero, l’Agenzia delle entrate ha molte informazioni, ma non le può usare. Il paradosso è che a Google, Amazon o Facebook è consentito fare cose che allo Stato viene impedito. La privacy è sacrosanta, ma va protetta in relazione al bene collettivo, non solo a quello individuale».
Ammettiamo pure che l’Agenzia delle entrate abbia mezzi, competenze e maggiore libertà di azione, c’è davvero la volontà politica di ridurre l’evasione fiscale? L’impressione è che in questi anni i governi si siano mossi con molta prudenza. Forse perché, sottolinea Cottarelli, «se per assurdo diminuissimo in un anno l’evasione del 50 per cento, tante imprese non ce la farebbero più e ci sarebbe una rivoluzione. Io mi accontenterei se riuscissimo a ridurla di 5 miliardi all’anno». Adelante con juicio.