Curare un’economia europea in crisi con continui rialzi nel costo del denaro. Da un anno la numero uno della Bce applica questo diktat. Ma se è una misura devastante per i conti dell’Italia, qualche altro Paese dell’Unione ne trae i suoi benefici. Ecco che, dietro l’ortodossia monetaria, spuntano gli interessi.
Il suo cognome da nubile ha un suono amabile: Lallouette. Rimanda alla filastrocca della sua Francia «Alouette, gentille alouette, je te plumerai…». Ma in luogo della «gentile allodola» Christine Lagarde spiuma l’economia europea, italiana in particolare, a ogni nuova riunione del direttivo della Banca centrale europea di cui è, ah sapere perché, presidente. La numero uno della Bce utilizza i tassi d’interesse come una garrota e nelle sue ultime dichiarazioni c’è un che di vagamente sadico, mentre consumatori, imprese e financo qualche ministro, come il portoghese Fernando Medina, qualche banca e qualche banchiere centrale invocano un ripensamento. «Madame Chanel», soprannome per i tailleur che indossa, vivacizzati da foulard Hermès, tira dritto. Ha benedetto 10 rialzi in un anno portando i tassi da negativi al 4,50 per cento, massimo storico da quando esiste l’euro. Pare non voglia smettere perché «i tassi non sono al picco e non abbiamo una definizione di quale possa essere questo picco».
Si tratta del Paradosso Lagarde: tassi alti economia ferma… Ma va bene così! La dichiarazione è del 15 settembre: faremo – pare dire madame – tutto ciò che occorre per domare la malabestia dell’inflazione. A ogni costo. Stando ai numeri più recenti, come quelli dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, il conto è salatissimo. L’Italia va malino (crescita 0,8 per cento, meno di quanto stimato in precedenza); la Germania malissimo (recessione con decrescita dello 0,2); la Francia viaggia verso l’1 per cento trascinata dai proventi finanziari. Sostiene l’Ocse: occorre raffreddare l’inflazione, ma i tassi stiano un po’ fermi, altrimenti si rischia la recessione generalizzata. La pervicacia di Lagarde – teleguidata da Isabel Schnabel che sta nel board della Bce in nome e per conto della Bundesbank e fa gli interessi di Berlino sostenuta da uno dei vicepresidenti, lo spagnolo Luis De Guindos – non sta domando l’inflazione, che ad agosto era al 5,2 per cento. È più bassa di un anno fa, ma non scende quella «core»: lo zoccolo duro, la liquidità in eccesso.
Il drenaggio dopo le misure anti-Covd andava fatto subito, ma con gradualità. La Bce ha agito tardi e male. La signora Lallouette che spenna imprese e famiglie è la stessa che il 20 giugno di due anni fa al Parlamento europeo affermava: «L’aumento dei prezzi è temporaneo, una stretta monetaria non è all’orizzonte perché sarebbe prematura». La signora Lagarde, mentre la Federal Reserve cominciava a stringere i tassi con energia – la Bce si metterà poi di conserva, imitando pedissequamente ogni mossa dell’americano Jerome Powell – il 19 gennaio 2022 ribadiva: «Faremmo più male che bene a rialzare i tassi. In Europa abbiamo un’inflazione più bassa e la ripresa è più avanzata negli Stati Uniti. Abbiamo tutte le ragioni di non reagire così rapidamente e brutalmente come la Fed. Se oggi alzassi i tassi questo agirebbe tra sei o nove mesi e che affetto avrebbe? Frenerebbe la crescita». Attendere mesi prima di reagire al rialzo dei prezzi oggi costa questa forsennata accelerazione. Ce ne sarebbe abbastanza per dare il benservito alla signora.
Christine Lagarde ha commesso un altro errore: non ha evitato che i governi continuassero a iniettare sostegni creando liquidità fittizia. A partire dalla Germania. Ha pompato oltre 200 miliardi nella sua economia sotto forma di aiuti con la benevolenza della Commissione europea che – a partire da Margrethe Vestager, la quale si occupa della concorrenza – si è voltata dall’altra parte. Per tale servizio la commissaria è candidata alla presidenza della Banca d’investimento; lei che fece fallire sbagliando gli istituti italiani sarà preferita al nostro ex ministro dell’Economia, uno dei Draghi-boys, Daniele Franco. Per capire quanto le manovre tedesche abbiano inficiato le prime tardive mosse della Bce costringendo l’Eurotower a inasprire la pressione sui tassi, servono le cifre. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha veicolato oltre 869 miliardi di euro di crediti per coprire i maggiori esborsi (i più consistenti: 100 miliardi per le Forze armate, 60 miliardi per la svolta green, 200 miliardi di aiuti all’industria) non contabilizzandoli nel debito pubblico e di fatto truccando i conti.
Berlino può farsi beffe dell’aumento dei tassi; il suo Bund a 10 anni rende il 2,7 per cento, noi paghiamo lo stesso titolo il 5,7 e se la Lagarde insiste il Bot italiano sarà fuori mercato. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, alle prese con una legge di bilancio che pare il cubo di Rubik, lo ha ammesso: il rialzo dei tassi ci costa 15 miliardi, quelli che mancano per chiudere la manovra fiscale. In tutto, il nostro Paese spenderà circa 80 miliardi per il servizio del debito grazie alla Bce. La sola speranza per riportare l’Eurotower a più miti consigli è la Francia che sta pagando caro il suo pesantissimo debito (3.014 miliardi oltre il 125 per cento del Pil) e remunera i bond decennali al 4,25 per cento). Madame Chanel è sensibile ai richiami di Macron, il quale però deve stare attento anche a non scontentare i banchieri francesi che stanno lucrando come non mai grazie all’aumento dei tassi e gli favoriscono l’aumento del Pil…
Il risultato è che le asimmetrie nell’area euro sono aumentate e se l’Italia è in difficoltà sia a far quadrare i conti dello Stato sia a evitare l’impoverimento delle famiglie, l’Europa è in una situazione di stallo economico ai limiti della recessione. Gli Stati Uniti che registrano un’inflazione al 3,6 per cento sanno che ciò accade perché l’economia procede a pieni giri: il Pil sta facendo il più 2,2 per cento. La Cina che ha bisogno di rilanciare il suo sistema economico sta abbassando i tassi, dal porto di Shanghai è ripreso un consistente flusso di esportazione e si stimolano consumi interni, ma soprattutto a sorpresa ha lanciato lo yuan come moneta digitale. Questo ha conseguenze sul mercato valutario e indica che ormai si va allo scontro tra dollaro e divisa cinese. Con l’euro al rango di comprimario.
Dall’ultimo rialzo dei tassi deciso a Francoforte, la moneta unica contro il dollaro perde terreno. Pessimo segnale mentre si riaccende la tensione sui prezzi dell’energia con il petrolio sui 100 dollari al barile e il gas che rivede in Europa quota 40 euro con un differenziale nel Gnl (il metano liquido) con queste quotazioni: in Usa 6,6 dollari, nel Vecchio continente 35 euro. È inflazione che si importa, sono costi produttivi dannosi. Mentre la Fed osserva un’economia ipertrofica e lavora sui tassi per contenerne l’esuberanza, la Lagarde strozza l’economia per obbedire al diktat di Berlino. I tedeschi, si sa, hanno un terrore psicologico dal dramma di Weimar in poi per l’inflazione, ma Olaf Scholz oggi ha convenienza al rialzo dei tassi: tenta di frenare la caduta dell’economia giocando con il suo basso debito, cerca di evitare il rialzo degli stipendi – sarebbe un’altra mina piazzata sotto il già sgualcito sistema industriale – frenando l’erosione del potere di acquisto.
E l’Italia? Facciamo i conti con un debito da 2.859 miliardi di euro che speravamo potesse essere eroso dall’inflazione, con una caduta dei consumi aggrappandoci a ciò che resta del boom dell’export. In attesa di una manovra di bilancio che dovrà fare i conti con il nuovo patto di stabilità. Augurandoci che se ne approvi la riforma – difficile con la Spagna che occupa la presidenza di turno dell’Unione, ma non ha un suo governo – prima che tornino in vigore le vecchie regole. E che, naturalmente, madame Lagarde non decida l’ennesimo paradossale rialzo.