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Cala il mercato dell’auto e non è colpa del Covid

Cala il mercato dell’auto e non è colpa del Covid

Esaltazione della conversione all’elettrico, battaglie ideologiche, incentivi scarsi, strategie di vendita poco chiare. A fermare il mercato non è solo la pandemia. Bene, invece, il noleggio ai privati

Esaltazione della conversione all’elettrico, battaglie ideologiche, incentivi scarsi, strategie di vendita poco chiare. A fermare il mercato non è solo la pandemia. Bene, invece, il noleggio ai privati.


Va male il mercato dell’auto, e non è soltanto l’effetto della pandemia. Il ministero dei Trasporti ha diffuso i dati di maggio 2021 che hanno visto immatricolate 142.730 automobili, numero che seppure segni +43% rispetto a maggio 2020 resta a -27,9% rispetto al 2019. Se poi si guarda al mese precedente di quest’anno, aprile aveva fatto segnare risultati migliori dell’1,6% e di quasi il 20% su base annua.

Aumentano le elettriche, ma lentamente, salendo da 0,6% al 3,6% delle immatricolazioni, perché la parte del leone sul rinnovo del parco circolante lo fanno le ibride plug-in, che salgono al 45,4%.

Di fatto il tentativo del settore di trasformare il concetto di automobile da bene semi duraturo a elettrodomestico usa e getta è fallita. E’ riuscita, invece, la missione di confondere e disorientare gli acquirenti. Che si difendono come possono: tengono l’automobile che finora ha dato loro certezze: la più venduta resta la Panda con oltre 9.800 esemplari. Le altre si mandano dal meccanico e si fanno andare avanti.

Da Federauto a Unrae il commento è preciso: “I dati di maggio evidenziano le difficoltà dell’automotive a risollevarsi dalla crisi e annullino il timido tentativo di ripresa dei mesi scorsi sostenuto dagli incentivi, esauriti troppo presto per innescare un effetto volano sul mercato”. Buone notizie invece per il comparto dell’autonoleggio a lungo termine e da parte di privati, in notevole crescita. Aziende come Arval (che presto annuncerà novità nella proposta retail per i privati con nuove aperture di propri spazi), Alphabet, Finrent, registrano infatti crescite importanti e costanti nel numero di contratti. Qui contano molto i servizi inclusi nel canone di affitto, che sgravano da impegni e scadenze chi utilizza il bene facendo risparmiare tempo, garantiscono la sostituzione o l’uso di una vettura di cortesia in caso di fermo per manutenzione o riparazione e consentono di guidare sempre un’autovettura nuova perché la si può sostituire facilmente dopo due o tre anni. Come sempre oltre ai “pro” ci sono i contro: in Italia un privato non ha alcun vantaggio fiscale nell’usare queste formule e certamente essendo il canone a cadenza mensile, una volta attivato un contratto si cercherà di sfruttare l’automobile per ogni spostamento.

Diverse e complesse sono le motivazioni di questi dati, dalla fine degli incentivi alla rottamazione all’incertezza sulle entrate delle famiglie, ma molto dipende anche da un settore che pare distaccarsi sempre più dalla realtà.

Da una parte c’è chi vive nelle grandi città e viene costantemente bersagliato da campagne ideologiche se non terroristiche sull’ecologia, dalla mai interrotta guerra degli assessorati al traffico privato che prescinde dal tipo di carburante utilizzato; dall’altra c’è l’impossibilità per la maggioranza degli automobilisti di poter “saltare” all’elettrico per mancanza di infrastrutture (colonnine di ricarica), la cui diffusione – guarda caso – risulta spesso rallentata proprio dalla burocrazia dei Comuni che dicono di volerle.

Tra aree a traffico limitato sempre più complicate, sospese e poi riattivate, restrizioni per classe d’emissione applicate giocoforza con mille deroghe, la dannosa guerra ai diesel (scendono dal 41,9% al 23,4% delle immatricolazioni), i prezzi sempre più alti delle vetture, il povero automobilista italiano, già oberato di tasse sulle quattro ruote, resta quantomeno disorientato. E anche se potrebbe fare un acquisto sul desiderio – chiamiamolo acquisto di pancia – rimane frastornato tra mille stimoli.

Ci sono i guru del car-sharing ma sappiamo che non è tutto oro quello che luccica e improvvisare una gita fuori porta con queste auto è ancora quasi impossibile. Chi lavora poi ha bisogno di automobili affidabili, robuste e durature, e se una volta si tendeva a equipaggiarle con accessori e dotazioni d’ogni tipo, oggi i costruttori tolgono persino la vernice dai paraurti ma infarciscono l’automobile di elettronica che, secondo una recente ricerca americana, rimane mediamente inutilizzata per oltre il 50% delle funzioni disponibili.

Ammettiamolo, ci sono pulsanti e icone che non tocchiamo mai, un po’ per paura, un po’ perché non c’è alcuna reale necessità di farlo. Però le paghiamo.

La pubblicità ci martella con effimeri concetti d’efficienza, connettività e opzioni di non-acquisto, ma la realtà resta che se una persona ha necessità di recarsi spesso presso una destinazione montana o particolare, se abbisogna di una vettura a trazione integrale (che rende più sicure anche le auto da pianura), per il suo acquisto dovrà sborsare l’equivalente di un monolocale in provincia.

Se poi parliamo di fuoristrada o auto cosiddette “premium”, parola che i diabolici addetti al marketing usano per confondere il concetto di auto ben costruita con quello di accattivante, modaiola, di tendenza e comunque costosa, alla prima foto messa sui social si diventa bersaglio degli odiatori eco-chic. Su tutto mettiamoci anche il pessimo tentativo di far ripagare lo sviluppo delle automobili elettriche agli utenti –seppure i componenti a bordo siano di numero inferiore rispetto a quelle con motore termico – la pachidermica macchina politica europea che detta regole sulle emissioni sconfessate dalle leggi della fisica, poi modificate e approvate in fretta per scongiurare decine di migliaia di licenziamenti, la dolorosa conversione dell’indotto di tutto il settore verso la produzione di parti utili alle auto elettriche al posto di quelle con motore tradizionale, peggiorano la situazione.

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