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Per gli americani sarà un «Black Christmas»

Per gli americani sarà un «Black Christmas»

Una «tempesta perfetta» dove si sommano porti ingolfati dai cargo, difficoltà logistiche per spedire le merci e aumenti dei prezzi a causa del rincaro delle materie prime. Così, quest’anno, per consumatori e commercianti degli Stati Uniti il Natale rischia di non essere affatto sereno.


«Qualsiasi prodotto di Mattel e Hasbro è fuori discussione, lo stesso per i puzzle di Ravensburger. I set Lego arrivano alla spicciolata, 5 scatole un giorno, 2 un altro. È tutto imprevedibile, i miei clienti iniziano a rivolgersi altrove».Kim Mitchell, proprietaria del negozio di giocattoli Boing! Toy Shop a Boston, Massachusetts, sta accumulando merce da quest’estate per non arrivare alle prossime feste con gli scaffali vuoti. Ha riempito il retrobottega e persino il seminterrato di casa, ma per commercianti delle sue dimensioni in questo momento è quasi impossibile assicurarsi i marchi più conosciuti.

Sarah McDonald invece, comproprietaria di Out There Outfitters, negozio di abbigliamento e attrezzature outdoor a Wayne, Pennsylvania, aspetta ancora di ricevere un quarto degli ordini effettuati per le vacanze: «Tanti prodotti sono già stati cancellati e ci sono grossi ritardi su altri. Il negozio non è vuoto, ma ci vuole molto più tempo per gestire l’inventario e riempire i buchi».

Kim e Sarah sono soltanto due dei piccoli commercianti alle prese con la crisi del sistema logistico che sta colpendo a valanga produttori, rivenditori e consumatori negli Stati Uniti. Dopo gli allarmi, lo spauracchio di scaffali deserti per Natale si sta concretizzando. Negli Stati Uniti solitamente è il Black Friday, il giorno dopo il Ringraziamento (l’ultimo giovedì di novembre), a dare il via alla stagione degli acquisti, ma quest’anno per evitare di passare le feste senza pacchetti sotto l’albero, il consiglio è stato di iniziare da acqusitare fin da ottobre. «Meglio ordinare i regali ora, altrimenti il giorno di Natale potrebbe esserci solo la foto di un oggetto che non arriverà prima di febbraio o marzo» ha avvertito il mese scorso Scott Price, presidente internazionale del gigante delle spedizioni Ups. Porti intasati, carenza di manodopera, maggiore domanda e costi di spedizione più elevati incidono sugli ordini di giocattoli, elettronica, abbigliamento e arredamento per la casa. E i problemi della catena di approvvigionamento non stanno solo influenzando le importazioni dalla Cina, che produce molti dei giocattoli più alla moda, ma anche il circuito interno del Paese.

Le scorte scarseggiano e tutto è in ritardo: i tempi per ricevere mobili ed elettrodomestici, per esempio, si sono allungati da qualche giorno (al massimo settimana) a mesi. Come richiesto dal presidente Joe Biden, i porti di Los Angeles e di Long Beach hanno iniziato a funzionare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per tentare di smaltire la merce sui cargo ormeggiati di fronte alle coste californiane.

I due scali sono la porta d’ingresso del 40 per cento dei container negli Usa, ma costituiscono il peggior collo di bottiglia. A fine ottobre quasi 80 navi attendevano in attesa ai moli, con merci per 24 miliardi di dollari da scaricare. I container impiegano il triplo del tempo richiesto per transitare nei principali porti statunitensi. A rallentare le operazioni è anche la carenza degli autisti di tir: solo in California ne mancano 60 mila.

Per Isaac Larian, ceo dell’azienda di giocattoli Mga Entertainment, il piano della Casa Bianca è tardivo: «Anche se i porti sono aperti 24 o 48 ore al giorno, non si trova manodopera» si lamenta con Fox News. «E queste misure della Casa Bianca sono una trovata politica». Per gli economisti, i problemi logistici negli scali, nonché la conseguente carenza di merci e l’aumento dei prezzi, continueranno nell’immediato futuro.

«È probabile che il rallentamento e gli elevati costi di spedizione persistano almeno fino a metà 2022, non esiste soluzione immediata per questo squilibrio tra domanda e offerta» sottolinea l’economista di Goldman Sachs Ronnie Walker. Biden, da parte sua, nei mesi scorsi ha promesso che il governo federale avrebbe lavorato «con le parti interessate lungo la catena di approvvigionamento per uno sprint di 90 giorni fino alla fine dell’anno». La situazione però resta critica.

Sono i piccoli rivenditori e produttori, già schiacciati dai grandi marchi durante la pandemia, a essere colpiti in modo sproporzionato da ritardi e interruzioni nell’approvvigionamento. Mentre giganti come Walmart e Amazon spendono milioni per noleggiare navi e aerei e velocizzare il trasporto della merce stagionale, i proprietari di negozi indipendenti non possono, e dicono di essere gli ultimi della fila perché i produttori danno la priorità ai contratti più grandi. «Il messaggio nel settore dei giocattoli è sempre stato: Walmart e Target prima di tutto. Come produttore, una volta che perdi la tua opportunità con un grande outlet o hai esaurito le scorte, finisci nella loro lista nera e questo basta per farti affondare» taglia corto Sean Maharaj, ceo della società di consulenza AArete ed ex analista della catena di approvvigionamento per Mattel.

Esattamente il quadro confermato da Kim Mitchell a Boston. Per il presidente del Florida Ports Council Jonathan Daniels, la situazione può portare i consumatori a pagare di più le merci, pur avendo accesso a meno articoli fino alla primavera. «È una tempesta perfetta» avverte. «Il sistema logistico in sé non è in grado di gestire l’ondata che stiamo attraversando negli Stati Uniti. Sono arretrati che non verranno smaltiti forse fino all’inizio del secondo trimestre del prossimo anno. Se ciò accadrà, non potremo portare quelle merci sugli scaffali dei centri di distribuzione, e ci sarà un aumento dei prezzi».

Un aumento che già si registra sul fronte alimentare, tanto che secondo il New York Times la festa del Ringraziamento negli Usa potrebbe essere la più costosa di sempre per il pranzo-simbolo, a causa dei rincari di tanti ingredienti. I mirtilli in scatola costano di più a causa della scarsità di alluminio per le confezioni, i tacchini sono più cari perché il prezzo del mais che mangiano è più che raddoppiato e il pane perché il prezzo dei prodotti da forno è aumentato.

Lo chef Matthew McClure racconta di aver pagato il 20 per cento in più rispetto al 2020 per i 25 pennuti allevati al pascolo da servire al suo ristorante Hive di Bentonville, Arkansas. Secondo gli analisti, i prezzi del tacchino per libbra (454 grammi) sono sulla buona strada per superare il record di 1,36 dollari stabilito nel 2015. Mentre Norman Brown, direttore delle vendite di patate dolci per la Wada Farms a Raleigh, North Carolina, paga i camionisti il doppio del solito per trasportare il raccolto in altre aree del Paese: «Mai visto niente di simile e ho gestito patate dolci per 40 anni» conferma Brown. «Non so quale sia la risposta, ma alla fine si scaricherà tutto sul consumatore».

Anche in questo caso, la causa è da attribuire in parte ai problemi della catena di approvvigionamento, con elevate spese di trasporto e manodopera insufficiente. Pure l’inflazione gioca un ruolo: a settembre, l’indice dei prezzi al consumo per il cibo è cresciuto del 4,6 per cento rispetto a un anno fa, mentre i prezzi di carne, pollame, pesce e uova rincarano del 10,5 per cento. E a New York, il caro prezzi fa dire addio a una delle sue icone del food, il trancio di pizza a un dollaro (anzi per la precisione a 99 centesimi). L’offerta, che faceva gola (ed era una salvezza) per visitatori e residenti a qualsiasi ora, non è infatti più sostenibile per i rivenditori a causa dell’aumento dei prezzi che non ha risparmiato il settore alimentare, così il costo è salito a non meno un dollaro e 50 centesimi.La fine di un mito, figlia anch’essa dell’avvento della nuova era post-pandemica.

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