L’effetto della crisi che si sta abbattendo sulle nostre economie (e sulle nostre società) a seguito della massiccia diffusione del coronavirus Covid-19 è molto difficile da valutare in questo momento. È evidente che si determinerà un raffreddamento dell’economia mondiale e, dunque, un rallentamento dei ritmi di crescita del Pil in tutti i Paesi, sia quelli considerati le «fabbriche» del mondo (Cina e Germania) sia quelli definiti i «mercati» del pianeta (Usa e tutti i paesi industrializzati).
Le cifre dipenderanno dall’estensione della crisi, dalla sua durata e dalla capacità di reazione che si produrrà al termine. Tutti elementi oggi difficili da decifrare. Determinante sarà soprattutto la capacità e la velocità di rimbalzo delle nostre economie. Ed è per questo che le misure di sostegno alle imprese, ai lavoratori e alle famiglie devono essere tempestive, robuste e di immediato sollievo. Oltre agli effetti economici occorre intervenire anche sulle aspettative e sui comportamenti (come ci insegna l’economia comportamentale che tanto abbiamo celebrato in questi ultimi anni).
I governi devono già oggi immaginare il domani, dividendo tra interventi di immediata urgenza e politiche di ripresa della crescita a medio termine. Peraltro, l’impatto di questa crisi si sta abbattendo, in Italia, su un mercato del lavoro e su una economia fragile e che non sembrano avere risolto i loro problemi strutturali più urgenti: basso tasso di occupazione e scarsa produttività.
I dati Istat della scorsa settimana hanno certificato queste debolezze. La perdita di ulteriori 40.000 occupati in gennaio, dopo quella più sensibile avvenuta a dicembre 2019, testimonia la preoccupazione di quanti stimano che il progressivo rallentamento dell’economia stia avendo i suoi effetti anche sul mercato del lavoro. Una debolezza che anche i dati Inps degli ultimi mesi avevano segnalato e che appare concentrata sulle donne e sulla fascia centrale di età (35-50 anni), quella più critica dal punto di vista del reinserimento nel mercato del lavoro e dei carichi familiari.
Non si abbassa il tasso di disoccupazione che continua a restare distante dalla media europea, così come critico rimane il mercato del lavoro dei giovani. Le politiche adottate in questi ultimi due anni appaiono non essere ancora capaci di incidere in maniera strutturale e se certamente può essere definito come positivo l’incremento dei contratti a tempo indeterminato – che però registra un andamento sempre meno sostenuto – qualche preoccupazione potrebbe determinarsi dal fatto che ciò ha indotto un irrigidimento dello stesso con una minore capacità di resistenza alla crisi.
Una ridotta flessibilità nella situazione che si prospetta potrebbe avere come conseguenza l’aprirsi di un delicato passaggio negli equilibri occupazionali. Passaggio che occorre prevedere e affrontare con la consapevolezza che il primo obiettivo è salvaguardare occupazione e reddito dei lavoratori e capitale umano delle imprese. In questo quadro maggiore attenzione deve essere data alle donne, la cui uscita dal mercato del lavoro deve essere evitata a tutti i costi, essendo poi difficile il loro rientro, e ai lavoratori autonomi/indipendenti, le cui capacità di riprendere una attività sono estremamente limitate.
La debolezza strutturale del mercato del lavoro italiano rimane quella di avere ancora troppo poche persone al lavoro; occorre evitare che questa crisi che ci faccia perdere i progressi compiuti in questi anni. Nel 2008 vi fu la capacità di affrontare la crisi con strumenti innovativi e con attenzione alle persone. Nel 2020 dobbiamo sapere replicare quegli schemi con maggiore attenzione alle imprese a e ai nostri territori.
