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Crisi agricola: il rosso del pomodoro

Crisi agricola: il rosso del pomodoro

Vale circa 3,5 miliardi di euro questa produzione italiana di qualità. Ma a causa di temperature anomale, scarsità di manodopera e affanno nell’industria di trasformazione, il settore è in sofferenza. E si aprono spazi per le importazioni più scadenti.


Per dirla alla napoletana «Scurdammoce ‘a passata». Il pomodoro nel Sud ha sofferto una gravissima crisi e ora l’industria di trasformazione fa i conti con una produzione che non basta a soddisfare l’export e il nostro mercato che diventa ancora più permeabile alle importazioni, soprattutto dalla Cina con prodotti a costi e qualità bassissimi.

È probabile che quest’inverno mangeremo «pizza malghelita». Il pomodoro vale 3,5 miliardi, dà lavoro a 7.000 imprese agricole, a 90 aziende di trasformazione che impiegano 10.000 addetti. Siamo il terzo produttore mondiale ed esportiamo per 1,9 miliardi. Ebbene la filiera rischia di andare in tilt: non ci sono i barattoli per inscatolare pelati, conserve e passate; i raccolti al Sud sono crollati. Oltre un milione di tonnellate di pomodoro sono state così abbandonate all’inizio della raccolta – a giugno – perché non si trovavano lattine. Nel distretto emiliano che produce i contenitori, le bobine di lamiera sono passate da 400 a 1.000 dollari la tonnellata (dieci volte il valore dell’alimento che devono contenere) in due mesi ed erano irreperibili.

L’Italia che dovrebbe risolvere anche la crisi dell’acciaio (uno dei poli specializzati nella produzione di lamiere era l’ex Ilva di Genova) riesce a realizzare al massimo 100.000 tonnellate di questo metallo: ne servono almeno 800.000 e vengono acquistate a carissimo prezzo all’estero. Se la crisi dell’acciaio ha creato interruzioni nella trasformazione (e si porta dietro un inevitabile rincaro delle conserve) nel pieno della campagna, da metà agosto in avanti sono mancati i pomodori. E anche qui per tre ragioni: non ci sono i braccianti per quel po’ di raccolta che si fa a mano; non ci sono i trasportatori per prelevare i pomodori dai campi e conferirli alle industrie e a causa delle avverse condizioni meteo non c’è neppure il prodotto in questione.

La Coldiretti ha stimato un calo di circa il 20% a livello nazionale con punte drammatiche nel Mezzogiorno. Gli assessori regionali di Puglia, Basilicata, Molise e Campania hanno chiesto interventi straordinari al governo e il giorno prima di Ferragosto hanno scritto al ministro dell’Agricoltura pentastellato Stefano Patuanelli di intervenire, ma per ora non si è visto nulla.

Così nei campi del Meridione, dove si concentra circa il 50% della produzione di pomodoro da industria (su 5 milioni di tonnellate quelle che vengono da Sud sono 2,3), si è scatenata la «tempesta perfetta»: temperature anomale che hanno fatto maturare i pomodori nello stesso momento, carenza di manodopera, trasporti insufficienti e industria incapace di lavorare il raccolto giunto in contemporanea. Risultato: di pelati italiani ne mangeremo ben pochi.

La rotazione della raccolta è alla base dell’efficienza della filiera: le industrie di trasformazione ricevono i diversi tipi di pomodori (dai pelati, a quelli da sugo, a quelli per le passate, a quelli per le conserve di altissima qualità) in modo scaglionato. Quest’anno invece le forti temperature hanno unificato la maturazione, gli impianti non sono riusciti ad assorbire tutto il prodotto che è rimasto nei campi ed è andato perso.

Si calcola che almeno altre 600.000 tonnellate di pomodori siano marcite sulla pianta per tale motivo. E tutto questo nel momento in cui le industrie avevano chiesto di aumentare la produzione. Lo scorso anno si era riusciti a fare l’8% in più per contrastare sui mercati ricchi l’offensiva di concorrenti come Spagna e California (primo produttore mondiale) e per sostenere l’aumento di consumo domestico dovuto alla pandemia.

Gli italiani continuano a premiare la passata (circa il 38% di quota di mercato, con i pelati fermi al 18) e sono forti consumatori con circa 6,5 chili pro capite di pomodori in conserva all’anno. Le importazioni di pomodori trasformati in Italia sono raddoppiate nei primi sei mesi del 2021, sapendo che già compriamo (ma dai Paesi europei in prevalenza) 160.000 tonnellate di quelli da insalata. Il problema è che la nostra filiera si è indebolita.

Abbiamo perso il primato produttivo (la California è leader con 8 milioni di tonnellate, ma la Cina con quasi 6 milioni ci ha sorpassato), abbiamo perso superfici (quasi 8.000 ettari) perché coltivare pomodori da industria non conviene: al Nord si incassano 92 euro a tonnellata, al Sud si sono spuntati da 105 a 115 euro a tonnellata (per il biologico 40% in più) ma c’è stato il disastro. È una filiera da ripensare, dominata dalla grande distribuzione che spinge i prezzi al ribasso ed è lì che s’inseriscono i prodotti d’importazione con un massiccio afflusso di concentrato cinese. No, quest’«oro rosso» non brilla più.

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