Ormai è tutto pronto per lo sbarco in grande stile delle vetture prodotte nella Repubblica popolare: soprattutto quelle elettriche, approfittando della debolezza dei marchi del Vecchio continente nel segmento su cui si gioca il futuro dell’industria. Nel mirino il 10-15 per cento del mercato, ai danni di case generaliste come Fiat, Opel o Renault. Un copione già visto nel mondo delle moto dove, a sorpresa, il gigante asiatico batte la Germania.
Salone di Parigi, fine ottobre 2022: tra i padiglioni di quello che pomposamente viene chiamato Mondial de l’Auto, di planetario in verità c’era ben poco. Due soltanto i gruppi europei presenti, Renault e Stellantis, con sede in Francia, mentre americani, giapponesi e coreani hanno dato forfait. Presenti invece i cinesi, che non perdono occasione per mostrare i loro modelli al pubblico europeo: al salone hanno debuttato due suv e una berlina, tutti elettrici, prodotti dalla Byd; la Great Wall Motors ha presentato la nuova gamma dei suoi due marchi Ora e Wey; la Seres, per metà cinese e per l’altra americana, ha mostrato due suv sempre a batteria; e la Dr ha tolto il velo a un suv ricaricabile italovestito.
Nelle settimane precedenti la Nio aveva scelto invece Berlino come palcoscenico per annunciare il suo sbarco in Europa, mentre la Mg, della Saic, ha rivelato la Mg4, frutto di una nuova piattaforma industriale. L’attacco verso il ricco mercato europeo è scattato. Fuori dalle mura della Fortezza Europa scaldano i muscoli società e brand dai nomi oscuri come Byd, Chery, Faw Group, Great Wall Motors, Hongqi, Nio, Xpeng. Great Wall Motors, per esempio, ha siglato una partnership con il più grande gruppo di concessionari europei, Emil Frey. Altre, come Geely e Saic, sono già entrate grazie all’acquisizione rispettivamente della Volvo e del marchio Mg.
«A oggi, più di dieci case automobilistiche cinesi hanno lanciato, o stanno per lanciare, veicoli elettrici in Europa. Due di loro hanno ottenuto un certo successo iniziale: Polestar (della Geely) e Mg sono entrate nella top 20 dei veicoli elettrici più venduti in Europa» ha dichiarato ad Autovista24 Jan Yang, senior managing director della società di consulenza globale Simon-Kucher. «Le case automobilistiche cinesi, per la prima volta, si sentono pronte ad affermarsi a livello mondiale» conferma Michael Dunne, amministratore delegato della società californiana di consulenza ZoZoGo.
Pur essendo estremamente affollato di marchi, alcuni molto prestigiosi, il Vecchio continente è pur sempre una bella preda: è il terzo mercato mondiale, dopo Cina e Stati Uniti, con quasi 12 milioni di veicoli immatricolati nel 2021 ed è il secondo mercato globale per i veicoli elettrici, dopo la Cina. E, a differenza degli Usa che impongono tariffe proibitive sulle auto asiatiche, l’Europa è relativamente aperta alle importazioni. Inoltre presenta alcuni punti deboli: costi elevati e un sensibile ritardo nell’elettrificazione. Due limiti che i produttori cinesi stanno sfruttando a loro vantaggio.
I minori costi di manodopera, che compensano in gran parte gli oneri di spedizione via Europa, e il controllo della catena del valore delle batterie, sono infatti le armi che Pechino potrà usare per conquistare quote di mercato. Tra i gruppi più agguerriti c’è Byd, guidato dal miliardario Wang Chuan-Fu, accreditato di un patrimonio di oltre 20 miliardi di dollari: Byd è uno dei maggiori produttori di veicoli elettrici al mondo, collabora con oltre 200 designer di Italia, Spagna, Svizzera e Germania e ha avviato l’espansione nel nostro continente quest’autunno, dopo un primo assaggio in Norvegia.
Nei prossimi anni, dunque, vedremo i cinesi crescere in Europa fino a prendersi una fetta che potrebbe aggirarsi sul 10-15 per cento delle vendite. Ai danni di chi? Probabilmente, come è avvenuto con l’arrivo di coreani e giapponesi, a farne le spese saranno i marchi generalisti come Fiat, Opel, Peugeot, Renault, Seat. Non a caso Carlos Tavares, numero uno di Stellantis, ha espresso a Parigi tutta la sua preoccupazione: «Dovremmo chiedere alla Ue di imporre ai produttori di quel Paese le stesse condizioni in cui noi, produttori occidentali, competiamo in Cina» ha dichiarato il top manager. «Il mercato europeo è aperto ai cinesi e non sappiamo se la loro strategia sia quella di conquistare quote di mercato in perdita per poi aumentare i prezzi».
Per la verità, a guardare la situazione attuale del mercato continentale la minaccia asiatici sembra ancora lontana e gli allarmi esagerati. Tra le prime dieci vetture vendute nell’Unione, nessuna viene dalla Cina, neppure tra le elettriche. Secondo la società francese di consulenza Inovev, nella prima metà del 2022 sono state immatricolate in Europa circa 75 mila nuove auto di produttori cinesi, soprattutto a batteria, e si prevede che possano arrivare a 150 mila unità a fine anno. Numeri piccoli in un mercato da 12 milioni di vetture. Ma bisogna stare attenti, perché i rapporti di forza possono cambiare molto rapidamente. Prendiamo il mondo delle moto: in Italia fino a pochi mesi fa le vendite erano dominate da un modello della Bmw seguito dai prodotti realizzati dalle case giapponesi ed europee. I cinesi? Guardati con sufficienza dalla maggioranza dei motociclisti.
Ma intanto, piano piano, gli «invasori» gettavano le basi per il salto verso la vetta della classifica: il Qj Group, padrone della Benelli e della Keeway, ha iniziato a realizzare moto sempre più accattivanti unendo prezzi bassi a un buon design e una discreta qualità. Mentre il gruppo Zhongneng Vehicle ha comprato la Moto Morini. Risultato: oggi il motociclo più venduto in Italia è della Benelli, al quarto posto della classifica c’è un 125 della Keeway e al nono una Morini. E a distanza, in 22esima posizione avanza la Voge del gruppo Loncin motorcycle. Tutte moto realizzate in Cina. Un traguardo inimmaginabile fino a qualche anno fa, ottenuto grazie soprattutto al rilancio di marchi storici. I clienti imparano così a conoscere e a fidarsi di questi nuovi prodotti e saranno pronti ad acquistare sempre più moto che arrivano dalle terre della Grande Muraglia.
È una tattica utilizzata anche in campo automobilistico: la Geely ha acquistato la Volvo, la Saic s’è presa il brand Mg. Quest’ultimo sta ottendendo un grande successo, nei primi 10 mesi dell’anno le sue vendite in Italia sono esplose passando da 418 a 5.534 vetture. Un altro caso interessante è quello della Link & Co che sta crescendo a ritmi del 300 per cento all’anno: di proprietà della Geely, viene descritta come la «Netflix delle auto» perché prevede la possibilità di accedere a un’auto su base mensile con un canone di 550 euro che comprende assicurazione, manutenzione e la libertà di interrompere il contratto quando si vuole. La vettura è un suv ibrido plug-in, disegnato in Svezia e costruito in Cina: anche in questo caso consente di far conoscere agli europei le qualità delle quattro ruote della Repubblica popolare.
Ma forse il più originale tra i «cavalli di Troia» automobilistici è la Dr di Macchia di Isernia, in Molise. Fondata nel 2006 dall’ex pilota Massimo Di Risio (da qui il marchio Dr), la società importa componenti di vetture delle case automobilistiche cinesi Chery e Jac Motors, li assembla su licenza in due stabilimenti con oltre 400 dipendenti e li commercializza con i nomi Dr, Evo, Sportequipe, Ickx. Dopo una partenza accidentata ed aver rischiato addirittura il fallimento, la casa automobilistica si è rimessa in sesto e oggi ha una gamma che offre berline e suv solidi, gradevoli esteticamente e dotati all’occorrenza di impianto gpl. Ma soprattutto gode di due vantaggi: prezzi competitivi e consegne in tempi rapidi, tra 20 e 40 giorni, quando per altre case bisogna aspettare mesi. Un cocktail di successo. Nei primi dieci mesi dell’anno il marchio Dr ha conquistato con oltre 19 mila veicoli venduti e un balzo del 198 per cento delle vendite, l’1,75 per cento del mercato italiano. Sembra un quota modesta, ma è superiore a quella vantata da marche famose come Mini, Volvo o Alfa Romeo. Non solo.
Di Risio ha acquistato dalla famiglia Maserati il marchio Osca, una casa emiliana fondata nel 1947 e specializzata in bolidi sportivi. E si è parlato della Dr come possibile acquirente dello stabilimento ex Bertone di Grugliasco, in Piemonte. Tutto grazie all’import di auto cinesi.
