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Doria, a Genova è Lanterna rotta

Doria, a Genova è Lanterna rotta

L’umiliante dietrofront del sindaco dopo le proteste su Amt divide la sinistra. Mentre la città scivola sempre più lungo il crinale del declino.

Per fotografare il cul de sac in cui si è cacciato Marco Doria, erede rosso del marchesato più antico di Genova catapultato un anno e mezzo fa alla guida della città da una rivoluzione cromaticamente affine, quella dei sindaci arancioni, bastano un paio di istantanee. La prima porta la data del 12 febbraio 2012, quando questo semisconosciuto professore universitario trionfa alle primarie del centrosinistra sbaragliando due pezzi da novanta del Pd locale come il sindaco uscente Marta Vincenzi e l’attuale sottosegretario alla Difesa Roberta Pinotti. Doria fa il pieno di voti a Voltri e Coronata, feudi Fiom da sempre. Doppia le avversarie a San Benedetto, tra i seguaci di Don Gallo, e alla bocciofila di via Bobbio, circolo caro ai dipendenti di una Amt già allora in ebollizione. Tre mesi dopo, batte il candidato di centrodestra Enrico Musso soprattutto grazie alle percentuali bulgare di Cornigliano, dove sferraglia quel che resta di Fincantieri e Ilva, e del centro storico, regno dei camalli che nel 1960 fecero cadere il governo Tambroni.

Ironia della sorte, i moti del giugno di 53 anni fa sono l’immagine più evocata da chi ieri nell’urna indirizzò su Doria lo spirito di rivalsa contro l’establishment democrat e oggi – seconda istantanea – ha paralizzato la città per cinque giorni cingendo letteralmente d’assedio Palazzo Tursi, dove la giunta comunale discuteva una semplice delibera di indirizzo relativa alla “razionalizzazione” delle società partecipate. Oltre all’azienda dei trasporti sono in odore di spending review anche l’Amiu (rifiuti) e l’Aster (servizi urbani), entrambe azzoppate da malagestione e debiti pregressi, entrambe cariche di dipendenti che si sono uniti alla lotta degli autisti.

Ipotizzare nuovi tagli e una graduale apertura ad altri soggetti è l’unica strada possibile per tenere a galla le ex municipalizzate senza tirare fuori (troppi) soldi pubblici, secondo il sindaco. Per la piazza, non più coagulata intorno al suo beniamino di un tempo, il provvedimento punta invece alla privatizzazione totale senza nessun riguardo per i cittadini-utenti e i dipendenti, costretti ad anni di sacrifici in cambio di un rilancio mai avvenuto.

Il 23 novembre le parti hanno siglato una tregua temporanea su Amt. Palazzo Tursi ha garantito gli 8,3 milioni necessari a coprire il disavanzo preventivato dall’azienda per il 2014: 4,3 milioni verranno reperiti tra le pieghe del bilancio, anche se Doria si è guardato bene dall’indicarne la copertura, altri 4 da non meglio precisate ottimizzazioni di spesa. Torna anche l’impegno a mantenere Amt in mani pubbliche in attesa di ridiscutere il contratto di servizio integrato regionale e sperando che nel frattempo Roma e Bruxelles caccino qualche palanca per il rinnovo del parco mezzi.

L’accordo, che i lavoratori dovranno ratificare entro il 31 dicembre in un referendum che si annuncia caldissimo, ha ottenuto l’effetto paradossale di creare un asse dialogante tra la Cisl, maggioritaria nel trasporto pubblico locale, l’opposizione di centrodestra favorevole alle privatizzazioni tout court e il sindaco. Allontanando quest’ultimo dal blocco dei duri e puri che faceva riferimento a Cgil e movimenti. Per non parlare di Sel, imbarazzatissima nel ruolo di stampella di Doria e costretta a subire l’opa sul suo elettorato da parte di Beppe Grillo. È andata un po’ meglio al Pd locale, dove cuperliani e renziani ancora in lotta si allineano nell’appoggio al sindaco e si corroborano grazie alla mediazione decisiva del governatore Claudio Burlando. Anche se il messaggio che filtra dall’entourage del segretario provinciale Alessandro Terrile è che il cerino, in caso di degenerazioni, resterà in mano al solo Doria: sarebbe un contrappasso non da poco per chi, da accademico, si è occupato soprattutto di industria locale e rapporti sindacali.

In realtà è difficile che gli eventi precipitino: gli schieramenti, alle prese con ben altri problemi su scala nazionale, sanno bene che per chiunque altro la strada da percorrere sarebbe la stessa, stretta e impervia, del primo cittadino di oggi. Tra patto di stabilità e taglio ai trasferimenti, il budget sotto la Lanterna è calato fra i 75 e i 100 milioni l’anno per tutto l’ultimo lustro. E la situazione delle oltre 30 partecipate comunali è critica da anni, se non da decenni: basti pensare che alla fine del 2011 (ultimo dato aggregato disponibile) il loro indebitamento complessivo sfiorava i 600 milioni, a fronte di poco più di 11 milioni di dividendi corrisposti a Palazzo Tursi, che a sua volta deve buona parte del suo rosso di bilancio ai mutui accesi per tenerle in vita. Già un anno e mezzo fa, riferendosi ad Amt, Amiu e Aster, la Corte dei conti rilevava che il loro stato patrimoniale fosse “tale da presentare criticità in termini di tenuta degli equilibri futuri per il bilancio del Comune”. E lo scorso luglio, nel corso della lunga e tesissima seduta di approvazione del bilancio preventivo, proprio la necessità di ripianare il buco Amt rischiò di far saltare alcuni interventi di messa in sicurezza del torrente Fereggiano, esondato durante l’alluvione del 2011 che costò sei morti.

Metafore perfette di una città immobile e adagiata sul suo declino, di una classe dirigente che ancora ragiona col metro della grandeur industriale degli anni Settanta e non vede le macerie, o non pensa a rimuoverle. La verità è che non sono solo gli autobus a essere in crisi: Fincantieri è appesa alle commesse che mancano e alle ipotesi di privatizzazione e l’Ilva al destino giudiziario dei Riva. Il settore marittimo soffre il calo di competitività del porto e le pmi dell’indotto di Finmeccanica chiudono a raffica a causa dei tagli imposti alla capogruppo. C’è un ex tessuto di eccellenza fatto di università, ospedali e imprese hi tech che perde terreno. C’è Carige, una delle banche più antiche d’Italia, finita nelle sabbie mobili di una ricapitalizzazione necessaria ma sulla quale nemmeno ora la politica molla la presa. C’è il Carlo Felice, istituzione della lirica nazionale, eternamente in rosso. C’è il tasso di popolazione inattiva più alto del Nord Italia: 82 mila anziani non autosufficienti, 30 mila disoccupati, 10 mila cassintegrati, 7 mila under 40 in uscita ogni anno.

Non è tutta colpa di Doria, certo. Ma se il marchese rosso non trova il cambio di passo promesso in campagna elettorale, forse tra qualche anno di autobus, in città, non ne serviranno più molti.

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