Home » Attualità » Difesa e Aerospazio » Incidente Air India, che cosa (ancora) non torna

Incidente Air India, che cosa (ancora) non torna

Incidente Air India, che cosa (ancora) non torna

Da chi lavora nel settore aereo nascono forti dubbi sul tragico volo AI-171. Serve tempo per le conferme, da chi o che cosa ha effettivamente fermato i motori a chi si è accorto per primo dell’avaria. Ed anche per scavare nella vera vita di due professionisti.

L’analisi dei registratori di volo del Boeing 787 appartenente ad Air India è in corso. Il lavoro importante, prima ancora di quello che porterà a conoscere chi ha fatto “che cosa e quando” dentro quella cabina di pilotaggio, serve per sincronizzare i dati raccolti con il tempo trascorso – minuti e secondi – di quella mattina, dall’accensione dei sistemi dell’aeroplano fino allo schianto. Da quanto si apprende, mentre il primo ufficiale effettuava decollo e salita iniziale, il comandante avrebbe agito sugli interruttori dei motori portandoli dalla posizione Run a Cut-Off, spenti.

Sono di parte: chi scrive si occupa di aviazione e anche di formazione dei piloti. Tra colleghi piloti, istruttori, ingegneri, meccanici e tecnici, questo incidente sta sollevando parecchi dubbi che si leggono nelle chat dei professionisti. Innanzi tutto: se è vero che dal rapporto d’indagine preliminare si evince che è avvenuta un’interruzione della mandata di carburante ai motori, questo non significa automaticamente che a causarlo siano stati i piloti agendo dalla cabina di pilotaggio. Quegli interruttori agiscono su circuiti elettronici e computer che innescano sequenze di comandi complesse tenendo in considerazione una decina di parametri. E soltanto alla fine del processo scatta una elettrovalvola che ferma il carburante prima di farlo arrivare agli iniettori della turbina. Di conseguenza esiste un esame dell’intero sistema automatizzato che deve essere conclusa per poter confermare o escludere che qualcuno abbia effettivamente fatto qualcosa. Secondo: il segnale di “Cut Off” è stato registrato dal Digital Flight Data Recorder ma al tempo stesso avrebbe costituito una variazione improvvisa di un parametro che avrebbe fatto squillare il massimo allarme disponibile (Master Warning), e questo emette un segnale acustico abbastanza potente da essere captato dal microfono del pilota che ha poi lanciato il Mayday.

I dubbi di cui parlo non finiscono qui e non riguardano il fatto se a far scattare i due interruttori incriminati sia stato l’uno o l’altro pilota, oppure se quel segnale di cambio posizione sia stato effettivo oppure frutto di un qualche bug che ha fermato l’impianto carburante e quindi i motori del Boeing, quanto dal punto di vista del fattore umano – causa di oltre il 75% degli incidenti – secondo il quale alcune cose non quadrano. Da pilota, seppure non apprezzi particolarmente la posizione di quegli interruttori, molto arretrati, se pensassi di volermi suicidare uccidendo anche coloro che sono a bordo con me, il fatto di farlo subito dopo il decollo non offrirebbe le stesse garanzie di successo del salire in quota e quindi spingere la barra in avanti con decisione portando l’aeroplano in un assetto da quale sarebbe quasi impossibile rimetterlo diritto.

Ricordate il volo Malaysian sparito nel nulla? Certamente sarebbe un modo più semplice rispetto allo spegnere i motori che, con lo stesso interruttore, erano subito ripartiti e uno stava per riprendere a spingere. Un ulteriore quesito riguarda il carrello di atterraggio che su questo brevissimo volo è rimasto abbassato. Quando al simulatore si esegue l’esercizio “avaria al motore alla V1” ovvero alla velocità che una volta raggiunta implica la necessità di dover comunque proseguire il decollo per l’impossibilità di arrestare l’aeroplano nella lunghezza residua della pista, l’evento spesso porta i piloti a dimenticare di retrarre il carrello. Dalle registrazioni sapremo quindi se l’equipaggio si sia accorto che qualcosa non stava andando per il verso giusto e se tale evento ha costituito una distrazione la cui conseguenza è stata la dimenticanza di retrarre il carrello. Quindi perde forza l’idea che il pilota non impegnato nel decollo abbia messo mano agli interruttori per portarli dalla posizione “Run” alla posizione “Cut-Off”. Un altro fattore è quello che riguarda Boeing, ancora sotto l’attenzione mediatica dopo gli eventi accaduti ai B-737 Max e al volo Alaska Airlines.

Mentre la stampa sta facendo enormi pressioni per conoscere ogni dettaglio non appena esso viene trovato nelle registrazioni, perdendo così la necessaria visione d’assieme che alla fine dell’indagine ci permetterà di capire gli eventi, la redazione delle 15 pagine del Rapporto preliminare è avvenuta dopo una prima lettura dei registratori di volo eseguita in forma strettamente riservata ma al tempo stesso poco trasparente. Questo perché l’associazione professionale dei piloti di riferimento per i dipendenti di Air India non è stata inclusa nella commissione d’inchiesta che sta indagando sull’evento. Infine c’è la vicenda della (smentita) depressione di un pilota e delle sue vicende personali. Anche in questo caso non è sufficiente fiondarsi sul suo profilo social per cercare una traccia o anche soltanto qualcosa che possa far ipotizzare un motivo di depressione, un qualche problema sentimentale, di salute o economico, serve invece ben altro per poter anche soltanto ipotizzare un comportamento distruttivo tale da giustificare l’atto estremo. E non sarebbe la prima volta che per varie ragioni, anche strategiche e volte a orientare opinione pubblica e perizie, si vede apparire un profilo falso costruito nelle ore subito successive all’incidente.

© Riproduzione Riservata