Tecnicamente si chiamano paracarrelli, dall’inglese paratrikes, sono telai molto leggeri in alluminio sui quali sono installate sospensioni e ruote con freni, un motore tipicamente costruito da Rotax con potenze comprese tra 65 e 100 cavalli, un serbatoio di carburante da circa 50-70 litri e due seggiolini dotati di cinture. Un’elica spingente produce la forza per avanzare a terra e, se al di sopra del carrello viene dispiegata una vela da parapendio abbastanza grande, anche in volo.
Si guidano usando i freni della vela che ne modificano, curvandolo, il profilo e producono l’asimmetria che serve per governare e virare a destra e sinistra. Si usano per diporto e sport in tutto il mondo, ma l’idea di farne un mezzo volante armato non è nuova, sono infatti apparsi anche in Iran e Cina, e non soltanto loro. Qualcuno dalla buona memoria cinematografica ricorderà l’inseguimento sulla neve tra l’agente 007 e le paraslitte del cattivo di turno in “Il mondo non basta”. Dal mondo dell’aviazione da diporto i paramilitari di mezzo mondo hanno preso anche gli autogiro (simili a elicotteri ma con il rotore principale in rotazione libera e un’elica spingente) oppure i deltaplani a motore, ovvero carrelli ancora più leggeri sui quali è montata l’ala a delta pensata inizialmente dallo scienziato Francis Rogallo come sistema per far rientrare le navette spaziali. Ma in volo i paracarrelli sono molto lenti e vulnerabili, per lacerare la vela basterebbero arco e frecce, ma soprattutto sono mezzi sportivi simbolo di libertà e contemplazione del cielo. Ecco perché, se si vedono arrivare nella luce della sera, bassi sull’orizzonte, non si pensa che il passeggero seduto davanti possa essere armato di mitra e che da quella posizione, avanzando a non più di 40 km l’ora, possa avere piena visuale libera per ammazzare gente inerme.
Invece è andata proprio così, e i membri del gruppo militante di Hamas li ha usati per superare gli sbarramenti e le barriere, per lanciare bombe a mano, per aggirare costruzioni e filari di alberi. Impossibile o quasi fermare l’introduzione delle componenti nella Striscia di Gaza, poiché sono fatti di tubi e di viti, perché il motore potrebbe essere quello di una falciatrice o di un generatore di corrente, perché le ruote possono andar bene per le cariole nei cantieri e i freni per le biciclette. Soltanto l’elica si può riconoscere facilmente, ma è un pezzo di legno e non è poi così complicato farla passare per chi è abituato a trasportare armi e munizioni. E poi ci sono i droni, quelli piccoli e commerciali che si trovano nei centri commerciali, da modificare per trasportare qualche etto di esplosivo come abbiamo visto in Irak e anche in Ucraina. Ciò che è meno chiaro è il ruolo che i droni potrebbero aver avuto nella raccolta di intelligence di Hamas prima degli attacchi, e come Hamas li stia utilizzando in reazione alla risposta militare di Israele. Ciò che tuttavia non torna è come possa l’intelligence israeliana non essersi accorta che da qualche parte i killer di Hamas si stavano allenando a pilotarli e a colpire in volo, poiché se al drone si può riconoscere una certa autonomia nel controllo della stabilità in volo, al paracarrello no, è completamente manuale, fin muscolare, e per volarci abbastanza bene da portare con successo un passeggero servono almeno una decina di ore di addestramento.
