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La cyber resilienza è fatta di carta e penna

La cyber resilienza è fatta di carta e penna

La Rubrica – Cyber Security Week

La notizia ha un qualcosa di distopico e un’abbondante dose di surreale: il National Cyber Security Centre britannico ha raccomandato alle aziende di dotarsi di piani d’emergenza analogici, che prevedano il ritorno a carta e penna in caso di blocco dei sistemi informatici. Dopo gli attacchi che hanno colpito Marks & Spencer, The Co-op e Jaguar Land Rover, paralizzando catene logistiche e pagamenti, la Gran Bretagna sembra avere scoperta che la vera resilienza cyber sia la grafite su foglio A4.

Al nostro presente non manca certo una buona dose di ironia: mentre il mondo si costruisce su fondamenta di cristallo digitale, qualcuno invita a tener pronto il quaderno a quadretti. È il paradosso della modernità: più diventiamo interconnessi, più dobbiamo essere pronti a disconnetterci.

La questione non riguarda solo la tecnologia, ma la governabilità della complessità. Ogni nuova connessione genera valore, ma anche vulnerabilità. Il sistema globale tende a somigliare a una rete elettrica senza fusibili e salva-vita o almeno non piazzati nei posti giusti, così basta un corto circuito in un nodo per far saltare la luce ovunque. E ogni nodo è un’azienda, un ospedale, un aeroporto, una banca. Più i fili si moltiplicano, più diventa difficile capire da dove passi la corrente e dove piazzare le misure di sicurezza.

Chi si occupa di sicurezza informatica sa perfettamente che non esiste sistema totalmente protetto, ma solo livelli di sopravvivenza, poi si tratta di capire quali siano quelli accettabili. A Londra sembrano avere pensato che un ritorno a carta e penna sia tollerabile e non si tratterebbe di un passo indietro, ma piuttosto di lato. Significa ammettere che il digitale non può essere l’unica via. Per ogni cloud serve una cantina, per ogni algoritmo la chiave di un archivio. La resilienza oggi non si misura nella potenza del binario, ma nella capacità di continuare a funzionare quando di binari restano solo quelli della ferrovia.

La nostra civiltà si regge su un presupposto infantile: che la connessione sia per sempre. In realtà, viviamo dentro un ecosistema di fragilità interconnesse. Quando un ransomware congela i server di un gruppo industriale, non paralizza solo un’impresa, ma intere catene di approvvigionamento, sistemi di pagamento, perfino le mense scolastiche. È un contagio che non ha bisogno di sangue: gli basta la fibra ottica.

Eppure, la lezione più interessante non è tecnologica, ma antropologica. Il ritorno alla carta non è un esercizio nostalgico, ma un modo per ricordarci che la continuità operativa è un fatto umano, non digitale. Saper prendere appunti, decidere senza algoritmo, comunicare senza rete: sono competenze di sopravvivenza che oggi sono sempre meno scontate di ieri e che domani potrebbero diventare preziose tanto quanto sapere che il sole sorge ad est e tramonta ad ovest.

La verità è che ogni progresso contiene la sua riserva di passato. Non esiste modernità che non abbia bisogno di una manovella di emergenza. Potremmo chiamarlo “principio di Archimede informatico”: per ogni byte di innovazione serve un grammo di realtà tangibile per consentirci di galleggiare nella realtà. Allora forse sì, forse la Gran Bretagna non ha torto: la prossima infrastruttura critica sarà il bloc-notes.

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