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Il feudalesimo tecnologico

Il feudalesimo tecnologico

La Rubrica – Cyber Security Week

Due annunci quasi contemporanei mi offrono la possibilità di una riflessione. Il primo è l’annuncio di Microsoft che i suoi pacchetti software in cloud avranno un aumento dei costi di circa oltre il 30 per cento. Il secondo è di Amazon che spiega come, grazie alle sue soluzioni basate sull’IA, sia possibile migrare dal cloud della casa di Redmond ha costi risibili, aggirando così lo spettro del lock-in, ovvero la situazione per cui un fornitore rende impossibile al cliente cambiare perché i suoi sistemi IT sono vincolati alle soluzioni tecnologiche di uno specifico fornitore. Apparentemente il suggerimento di Amazon è: se vuoi “uccidere Windows” puoi farlo. Leggendo queste due notizie vediamo in realtà lo stesso copione recitato da attori diversi. Nel grande teatro del cloud, i padroni discutono animatamente tra loro, ma ciò che li unisce è più profondo di ciò che li divide: la necessità di trattenere i propri schiavi. E gli schiavi, spiace ricordarlo, siamo noi. Ancora di più se europei, perché entriamo nell’arena senza filiere tecnologiche autonome e privi di alternative.

La scena iniziale è semplice. Un colosso annuncia che il cloud può vivere benissimo senza Windows: meno licenze, meno costi, più libertà. L’altro, quasi in contemporanea, segnala aumenti del 33 per cento sui propri pacchetti software. Sembra un duello, in realtà è una trattativa tra signori della stessa casata. Uno propone l’emancipazione, l’altro stringe la catena, ma entrambi lavorano sullo stesso fronte: spostare il baricentro dal software posseduto dall’uno a quelli controllati dall’altro.

In mezzo ci siamo noi, europei soprattutto, che del cloud abbiamo fatto una specie di cittadinanza sostitutiva. Non abbiamo costruito i motori, non possediamo le chiavi del garage e spesso nemmeno leggiamo il contratto di noleggio. Basta che tutto funzioni, basta che sia comodo. È il punto in cui l’ingenuità diventa un vizio culturale: ci convinciamo che un abbonamento sia una forma moderna di libertà, quando in realtà è una dipendenza con un packaging elegante.

E qui vale la pena spendere una metafora: siamo su un veicolo che ci trasporta del quale presumiamo di essere al volante, ma sotto un cofano completamente sigillato c’è il vero pilota. E’ il costruttore che decide quando aggiornare la centralina, quali funzioni attivare e quanto farci pagare per continuare a muoverci. Ogni aumento di prezzo o cambiamento di policy non è un incidente: è un promemoria di chi comanda davvero. E noi continuiamo a viaggiare, perché non abbiamo costruito né la strada, né il motore, né la mappa che ci indica la direzione.

Il cloud, oggi, è questo: un sistema in cui due padroni negoziano il prezzo della nostra dipendenza, mentre noi discutiamo se sia meglio una finestra un po’ più ampia o un corridoio più luminoso. Ma la questione è un’altra: vorremmo davvero possedere almeno una stanza della casa in cui viviamo?

Finché non affrontiamo questa domanda, resteremo ciò che già siamo: abitanti temporanei su un terreno altrui, liberi di muoverci, ma solo fin dove arriva la concessione del proprietario. Se dovessi dare una definizione direi che viviamo nell’epoca del feudalesimo tecnologico, che, peraltro, non ha bisogno di eserciti: bastano abitudini sedimentate e un pizzico di pigrizia strategica, ma forse nemmeno tanto strategica.

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