La voce in falsetto nata nel coro delle voci bianche della Cappella Sistina, l’incontro con Boncompagni e Arbore, la sigla di Alto gradimento che li ha resi celebri, i 5 mila concerti, i milioni di dischi venduti e la «lite» con i Måneskin, rei di avergli copiato il look. La band fondata nel 1970 racconta a Panorama 50 anni di aneddoti, alla vigilia della partecipazione, per la prima volta, al Festival della canzone.
«Di Anima mia esistono decine di versioni in tutto il mondo, anche in cinese. L’hanno cantata pure Frank Sinatra, Frida degli Abba, Dalida, Claudio Baglioni. Copia più, copia meno, quel pezzo ha venduto, dal 1973 a oggi, cinquanta milioni di 45 giri» racconta Ivano Michetti, l’anima dei Cugini di Campagna, insieme al fratello gemello Silvano. Settantacinque anni di vita in una band che suona dal 1970 e ancora oggi viaggia su una media di 100 concerti l’anno. In Italia e non solo. Una storia di singoli di successo, di zeppe, paillettes, strass, e soprattutto di falsetto, quel timbro acuto della voce che è un po’ il marchio di fabbrica del gruppo.
Lo stile Bee Gees, ma «noi quel modo di cantare lo abbiamo usato prima di loro» dice con orgoglio Ivano, chitarrista e compositore, la voce narrante dell’intervista tra le pieghe dell’epopea dei Cugini di Campagna: «Tutto è iniziato con una mia marachella: a nove anni, a Roma, pescavo con la calamita le monete nella Fontana di Trevi. Ero bravo, nei giorni più fortunati mi mettevo in tasca quasi 20 mila lire. L’unico inconveniente era qualche inseguimento da parte dei vigili. Poi mio padre se ne accorse, non la prese bene e mi relegò nel coro delle voci bianche della Cappella Sistina. Si studiava dalle sette del mattino alle sette di sera. Finii tra i contralti e i sopranisti di Papa Giovanni XXIII, diretti da Monsignor Bartoloucci, il massimo della dodecafonia della Cappella Sistina. Adesso, forse, è più chiaro perché la prima canzone che ho scritto, Anima mia, aveva quello stile vocale. A vent’anni mi ritrovai direttore d’orchestra. A quel punto mio fratello Silvano, batterista, mi disse: perché non facciamo un complesso?».
Nel mezzo della gavetta, tra tour sulle navi lunghi sei mesi e serate nei locali, la grande occasione arriva tra i tavoli del ristorante romano Il Casale: «Sapevo che cenavano lì Gianni Boncompagni, Renzo Arbore e Bruno Zambrini, che aveva scritto hit per Gianni Morandi, Patty Pravo e Domenico Modugno. Siamo entrati spavaldi e abbiamo intonato a cappella Nella vecchia fattoria. Se vuole gliela cantiamo anche ora (intorno al telefono, durante l’intervista in viva voce, ci sono anche gli altri tre Cugini, ndr). Trionfo. Il giorno dopo ci hanno invitato negli studi della Rca e ci hanno fatto ascoltare il Ballo di Peppe (ce la canta ancora in diretta telefonica, ndr) che abbiamo reinterpretato a modo nostro ed è diventata la sigla del leggendario programma radiofonico Alto gradimento. Tanta popolarità per qualche tempo, ma pochi soldi» ricorda a Panorama appena prima di iniziare le riprese del videoclip di Lettera 22, il brano scritto dalla Rappresentante di Lista con cui debutteranno sul palco dell’Ariston a Sanremo (dal 7 all’11 febbraio).
«Sul fattore soldi e indipendenza mio padre fu chiaro: o canti o conti. Com’è che suoni ogni sera, hai una sigla in radio, ma alla fine sei sempre qui a inforchettare con tuo fratello la pastasciutta comprata da me? Quindi, o ti guadagni da vivere con la musica e te ne vai a vivere da solo, o vieni con me alla cava a contare i blocchetti di tufo per le costruzioni edili. Gli dissi: dacci sei mesi. In quel periodo nacque Anima mia. Ho fatto tutto: testo, musica e arrangiamento».
Oltre la musica, il look, quello che ha reso i Cugini riconoscibili in mezzo a mille gruppi. Non solo per gli ormai iconici capelli ricci «a tondo» di Ivano e Silvano. «La chioma è ancora tutta originale, ma naturalmente c’è un po’ di tinta. Quanto all’immagine, contattai il fratello di Little Tony e gli dissi: ma come fa Tony a sembrare più alto di quello che è? Mi portò in Piazza Bologna dal calzolaio Antonio che faceva scarpe rialzate con un po’ di tacco dentro e un po’ fuori. Per noi, però, non erano sufficienti, perché mio fratello è una decina di centimetri più basso di me. Così, passammo direttamente alle zeppe. Poi, vennero le paillettes che le nostre mamme cucivano con pazienza una per una» ricorda.
I fan li ricordano anche per l’immagine da «guerrieri della notte» ante litteram sulla copertina del 45 giri di Preghiera. Tutine di pelle nera, catene. «Il testo era riferito a una storia d’amore tragica finita con un suicidio. Così, decidemmo di apparire sul disco con un look opposto al senso della canzone. Abiti di pelle, facce da teppisti…». Unici e inimitabili, viene da dire. Con più di 5 mila concerti nel curriculum: «Dal Madison Square Garden di New York alla festa in pizzeria per il compleanno di una signora che ricevette come regalo dal marito un’esibizione dei Cugini di Campagna. Noi siamo così, non importa dove o quando: dateci un palco e al resto pensiamo noi» dice convinto.
È di qualche mese fa la presunta polemica con i Måneskin per lo sfoggio di un look 70’s molto simile al loro: «Ma quale polemica. Ci siamo anche sentiti al telefono e gli ho detto che c’è una sola ragione per cui li “odio”: la somma delle loro età fa praticamente la mia. In concerto suoniamo anche la loro Zitti e buoni. Naturalmente a modo nostro, con tanti correttivi. E poi, abbiamo in comune il “fattore monetine”, quelle che pescavo io dalla Fontana di Trevi e quelle che davano a loro i passanti quando agli inizi si esibivano per strada in via del Corso».