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Cosca del sol

Cosca del sol

Nella regione marittima dell’Andalusia si sono radicati gruppi della malavita italiana, tra cui spicca la camorra. E nel loro «core business» ci sono il traffico di droga verso il nostro Paese e il riciclaggio di denaro.


Mare, sole tutto l’anno, ottima qualità di vita. E da qualche tempo anche un sempre più nutrito via vai di mafiosi. Benvenuti nell’andalusa Costa del Sol, Spagna, che a sud dista poche miglia marine dal Marocco – il più grande produttore mondiale di hashish, con Ceuta e Melilla come sue filiali – ed è a soli 50 minuti di macchina da Campo di Gibilterra, uno dei principali punti d’arrivo della cocaina in Europa attraverso il porto di Algeciras.

Senza contare la vicinanza con le Azzorre, mèta prediletta di scambi di droga che avvengono direttamente in mare tra natanti (come dimostra il sequestro in flagranza di reato di 2.500 chili di cocaina trovati a bordo di una barca a vela nell’ottobre scorso mentre solcava le acque portoghesi).

Ecco perché questa regione è stata ormai ribattezzata «Cosca del Sol»: oltre a rappresentare il buen retiro di molti pensionati europei, infatti, appare quale nuovo polo attrattivo per la malavita organizzata dell’emisfero occidentale. Al punto che, secondo gli inquirenti, attualmente qui operano almeno 113 gruppi criminali provenienti da oltre 59 Paesi.

Secondo Antonio Nicaso, autore di saggi come Global Mafia e Business or blood, «questa è storicamente una zona dove si sospendevano le ostilità tra gruppi mafiosi e si collaborava al fine di accrescere il business. È così che, per esempio, Malaga e Marbella sono diventate aree strategiche tanto per i broker colombiani quanto per le mafie italiane, qui tutte presenti. Con una maggioranza netta di napoletani, perché è stata la camorra ad aver individuato per prima quest’area».

Colui che ha scommesso in tempi non sospetti sulla Costa del Sol è stato don Raffaele Cutolo, che già a metà anni Settanta iniziò a colonizzare la zona, investendo pesantemente nel settore immobiliare e turistico, e inaugurando così la moda delle vacanze andaluse. Ma i camorristi prima e i casalesi poi non rimasero i soli a godersi gli agi di questa costa: nel giro di pochi anni anche le altre organizzazioni italiane – ovvero ’ndrangheta e mafia siciliana – hanno iniziato a riciclare qui gli enormi proventi del traffico internazionale di droga.

Non a caso è qui che fu arrestato nel 1998 il latitante Pasquale Contrera, finito al centro delle indagini di Giovanni Falcone perché considerato il re del traffico di droga dall’America del Sud alla Sicilia; mentre di recente è stato catturato anche il boss ’ndranghetista Vittorio Raso, legato a doppio filo alla potente famiglia Crea. Prosegue Nicaso: «Perché questo ruolo della Costa del Sol? Per la semplice ragione che è vicina al Marocco. L’ultima tendenza delle mafie è infatti lo scambio di merci più che di soldi: così la ’ndrangheta scambia volentieri hashish con cocaina. Ciò ha accentuato gli appetiti di gruppi criminali in simili crocevia».

Durante i lockdown pandemici, i gruppi criminali italiani si sono riciclati evitando il nostro Paese e dirigendosi verso porti olandesi e spagnoli, «e lo si è visto in considerazione del più alto numero di sequestri mai avvenuti tanto a Rotterdam quanto in Galizia, tornata in auge dopo la scarcerazione di numerosi boss nella regione spagnola». I quali, in libertà dopo anni di carcere duro, hanno ripreso a fare ciò che facevano prima.

In Costa del Sol avrebbe soggiornato a più riprese anche il super latitante Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano (Trapani) figlio di quel don Ciccio, fedele alleato dei corleonesi di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Nessuno sa più nulla di u siccu («il magro»), com’è soprannominato Messina Denaro, dall’agosto 1993, quando sarebbe stato avvistato in vacanza proprio in Costa del Sol dopo essersi operato agli occhi a Barcellona. Qui, di certo, si sono stabiliti importanti broker del narcotraffico come Giuseppe Refrigeri, arrestato a Malaga il 1° marzo 2021: è uno dei capi della banda della Marranella, nata dalle ceneri di quella storica della Magliana che per lungo tempo ha gestito gran parte della droga che arrivava sulle piazze di spaccio di Roma.

Refrigeri è finito nell’inchiesta «Hispania» del luglio 2018, che ha svelato come a Malaga funzionasse a pieno regime una centrale criminale specializzata nel traffico di cocaina, hashish e marijuana, per rifornire i mercati di Italia e Spagna. Sempre in quest’area sono stati catturati anche Domenico Paviglianiti Maria Licciardi, capo dell’omonimo clan camorristico, e il narcotrafficante siciliano Fortunato Stassi, già condannato per traffico internazionale di droga, fermato nella cittadina di Fuengirola.

Nulla a che vedere, tuttavia, con il boss mafioso Domenico Paviglianiti, attivo in Spagna dagli anni Ottanta e ricercato dalle autorità italiane per essere l’istigatore di quasi 130 omicidi (sarà arrestato il 6 agosto 2021 a Madrid). Per rendere l’idea dello spessore criminale, basti ricordare come emerse da personaggio vincente durante la guerra dei clan calabresi, tra 1985 e 1991, con almeno 700 morti ammazzati.

Il problema è che oggi la violenza è aumentata anche su questa Costa accogliente, perché sono arrivati nuovi criminali indipendenti che agiscono secondo modus operandi molto diversi dalle mafie tradizionali. «Sembra tramontata l’era dei patti di non belligeranza» afferma Nicaso. «La presenza massiccia di narcotrafficanti serbi e albanesi, che adesso stanno cominciando a dialogare con le grandi mafie, dà origine a conflitti inediti e instabilità». Oggi, infatti, le grandi mafie si limitano al governo del territorio e a finanziare il narcotraffico, però il compito operativo è ormai delegato alle mafie «minori» – ma non per questo meno temibili o spietate – come appunto quella albanese. Sono loro a prendersi carico delle spedizioni, a gestire gli scambi e a condurre le merci a destinazione.

La Spagna, in ogni caso, sta alla Francia come la fuga dalla giustizia italiana alla latitanza dei terroristi: piace molto a criminali e narcotrafficanti, anche perché le affinità culturali e la lingua consentono di integrarsi facilmente e di farsi poi raggiungere dalle famiglie. Ma tutto questo potrebbe finire presto, se continuano a moltiplicarsi i cadaveri di mafie che ormai si affrontano in pieno giorno, come avvenuto il 2 luglio 2020 al boss montenegrino Milos Perunic: falciato da una raffica di mitra in una via del centro di Marbella, alle due del pomeriggio.

O come è accaduto, a pochi giorni dal Natale dello stesso anno, allorché un killer della mafia russa è entrato in un ristorante e ha ucciso un rivale albanese per uno sgarro. Non sono da meno i cartelli irlandesi Hutch e Kinahan, e più in generale quelli britannici, esperti in esecuzioni mirate. «All’ombra del Sol», insomma, si nasconde una realtà violenta e preoccupante, che lo scorso anno ha portato la polizia locale a dover gestire quasi 32.000 casi legati al narcotraffico.

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