Home » Attualità » Cronaca » Amara e i veleni di Augusta

Amara e i veleni di Augusta

L’avvocato che addomesticava indagini e agevolava processi aveva creato, assieme al padre, un sistema collaudato che risale a 15 anni fa. La loro prima «vittima»: Massimo Carrubba, ex sindaco del comune siciliano, accusato di concussione e avvelenamento delle acque. E assolto sei anni dopo.


Ne ha inguaiati a decine: consiglieri del Csm, procuratori, magistrati, onorevoli, manager. Piero Amara è l’avvocato che addomesticava indagini, accomodava processi, agevolava nomine. L’hanno arrestato tre volte: l’ultima, un mese fa. S’è pentito. Da un paio d’anni le sue furbesche dichiarazioni alimentano il falò della giustizia. Il «sistema Amara» sembra ormai collaudato: verità intermittenti, piste roboanti, far fuori nemici e nemici degli amici. Il metodo, affinatosi nel tempo, sarebbe però nato una quindicina di anni fa. Quando Piero è un rampante avvocato di Augusta, figlio di Pippo u’ massaru, padrone di mezza città.

La loro prima vittima risale a quel periodo: Massimo Carrubba, sindaco del comune siciliano dal 2003 al 2012. Fino a quando, un’inchiesta dopo l’altra, viene costretto a dimettersi. Con gli Amara a far da grandi accusatori. Questa storia potrebbe aver il titolo di un vecchio libro di Leonardo Sciascia: A futura memoria. L’Italia, già allora, s’era sicilianizzata. Ecco, ci risiamo. Come finirà a tutti quelli tirati in ballo oggi da Piero Amara? La fantomatica Loggia Ungheria è l’ennesima e rutilante balla? Potrà dirlo solo il tempo. Lo stesso che, dopo 12 anni di veleni, ha visto Carrubba assolto da ogni accusa. Corsi e ricorsi. Si comincia dalle oscure trame di un paesone dell’isola e si finisce a decidere i destini della procure di Roma o Milano, quintessenze del potere giudiziario.

Tutto però comincia ad Augusta, il feudo degli Amara. È il 21 luglio 2007. Giornali amici rivelano: Carrubba, assieme al vicesindaco Nunzio Perrotta, è indagato dalla procura di Siracusa per tentata concussione e tentato avvelenamento delle acque. Avrebbe brigato per far approvare il progetto di un impianto di smaltimento dei rifiuti, affidato alla società Oikothen. Gli avvisi di garanzia vengono notificati a ottobre 2007: tre mesi dopo. Il primo mandato di Carrubba sta per scadere. E ha già annunciato la sua ricandidatura. Ma irrompono sulla scena gli Amara. Ad Augusta li conoscono tutti. Pippo, geologo di fede socialista, è stato sindaco, assessore, consigliere comunale, presidente del consorzio di sviluppo industriale. Temuto, riverito, ossequiato. «Un mio storico avversario politico e nemico personale» riassume oggi Carrubba. «Per quarant’anni molti investimenti nella zona, tra politica e imprenditoria, sono passati dalle sue mani». Non senza inciampi giudiziari. Proprio nel 2007, Pippo Amara viene condannato in cassazione a un anno per «minacce a corpo dello stato»: ovvero la commissione edilizia del comune, rea di non volergli concedere l’autorizzazione per due enormi capannoni.

Anche il figlio ha velleità politiche. A luglio 2007, mentre viene svelata l’inchiesta su Carrubba, Piero Amara è nominato segretario nazionale del collegio dei probiviri dell’Udc: «Spero di poter offrire un contributo alla crescita di un partito i cui ideali politici e morali fanno parte del mio bagaglio culturale, forgiato dalla dottrina della chiesa cattolica» spiega l’avvocato al quotidiano La Sicilia. E saranno proprio «quegli ideali politici e morali», negli anni seguenti, a portarlo tre volte nelle patrie galere.

L’ultimo arresto risale all’8 giugno 2021: avrebbe favorito la nomina dell’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, titolare del fascicolo sull’Ilva, di cui il legale siciliano era consulente. La ribalta nazionale, negli ultimi anni, è stata garantita anche da due patteggiamenti. A cui però va aggiunta la prima macchia sul casellario giudiziario, che risale appunto agli anni del caso Oikothen. Il 14 gennaio 2009 Piero Amara già patteggiava 11 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio. Aveva carpito da un cancelliere del tribunale di Catania informazioni coperte da segreto istruttorio per alcuni suoi clienti. Tra cui il padre indagato.

Torniamo però all’estate 2007. Si vota la prossima primavera, ma ad Augusta c’è già aria di campagna elettorale. Carrubba ha deciso: si ricandida. Ma poi arriva l’inchiesta. Amara senior parte all’attacco. In città cominciano a circolare volantini firmati da lui. «Carrubba mente per nascondere la mano». «Carrubba si penta». Sarebbe favorevole a quella discarica di rifiuti tossici, che mette in «serio pericolo» la popolazione. «Ma era vero l’esatto contrario» spiega l’ex sindaco. «Come provano i documenti, mi sono sempre opposto all’impianto, comunque mai realizzato. In quel momento bisognava però screditarmi, in modo da evitare la rielezione. Anche perché gli Amara non riuscivano più a condizionare l’amministrazione».

Il padre, Pippo, diventa quindi uno dei principali testi della procura, assieme a due consiglieri comunali amici. Ma chi è il pm siracusano titolare del fascicolo? Maurizio Musco. Otto anni dopo, a dicembre 2015, sarà condannato a 18 mesi, proprio per aver favorito familiari e clienti dell’avvocato Amara, al quale «era legato da un rapporto di amicizia e da relazioni economiche». Musco verrà radiato dalla magistratura a giugno 2019. Ma già ai tempi del caso Oikhoten la vicinanza tra i due non è certo un segreto. Nemmeno per Carrubba: «Proprio mentre i giornali cominciano a rivelare particolari dell’inchiesta, il pm che indaga e il figlio del mio accusatore vanno abitualmente a cena insieme. Oppure in barca. Un’amicizia che viene addirittura ostentata, per intimorire gli avversari. Una cosa inquietante».

L’ex sindaco è il primo a scoprire il sistema che poi infetterà la giustizia italiana. E quando querela Pippo per diffamazione, è ancora Musco, che i giudici definiranno «guardiano attento degli interessi degli Amara», a darsi da fare: fa prescrivere il reato, «arrecando intenzionalmente un danno ingiusto» a Carrubba, che poi si costituirà parte civile nel processo contro il magistrato. Nel 2011, il politico denuncia Amara senior anche per presunte minacce: «Continuava a chiamarmi a tutte le ore, persino il giorno di Natale». Tanto che, a giugno 2013, il geologo viene condannato per molestie telefoniche all’ex sindaco, pena poi commutata in ammenda.

Alla fine, Carrubba viene assolto il 28 gennaio 2016. Dopo un processo durato sei anni. E a nove anni dai primi spifferi dell’inchiesta. «Il fatto non sussiste». Ma solo due anni più tardi, a dicembre 2017, l’ex sindaco trova la forza per denunciare pubblicamente il ruolo che avrebbero avuto gli Amara: «Hanno organizzato a tavolino il processo Oikothen e ora sostengono le accuse di mafia nei miei confronti».

Già. Perché nel mentre, a luglio 2012, Carrubba è stato indagato anche per concorso esterno e voto di scambio aggravato, in un’inchiesta della Dda di Catania. E, pure in questo caso, Amara senior ci mette il carico da undici. È lui ad attaccare la giunta, con due esposti: vuole affittare l’immobile di un imprenditore, ritenuto dai magistrati «contiguo ad ambienti criminali», per farne la sede distaccata del tribunale di Siracusa. E alcune sue intercettazioni, in cui parla dei supposti legami con la mafia di Carrubba, diventano pesanti indizi contro l’avversario. «Dubito però che quelle telefonate fossero genuine» spiega l’ex sindaco. «Gli stessi Amara, secondo me, sapevano di essere intercettati. E risalgono proprio a quel periodo le incursioni nel sistema informatico del cancelliere al servizio di Piero».

L’indagine deflagra. Ad agosto 2012 Carrubba è costretto a lasciare. Avrebbero ripreso perfino le sue visite a casa di un boss ai domiciliari. Ma era uno scambio di persona. Solo a settembre 2019, dopo sette anni, sarà nuovamente assolto: il fatto, pure questa volta, non sussiste. «L’accusa pare più frutto di un massiccio travisamento di alcune conversazioni intercettate, che dell’effettiva sussistenza di contatti illeciti del sindaco con i diversi esponenti del clan» scrivono i giudici.

All’epoca delle indagini, l’ennesimo mascariamento è però fatale. Il sindaco si dimette. E, a dicembre 2012, il comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose, dopo la relazione della prefettura di Siracusa. Alcune illuminanti pagine sono riservate pure agli Amara, protagonisti del capitolo: «Soggetti di rilievo nella vita pubblica del comune di Augusta». A partire da Pippo: «Intreccia vari interessi, che spaziano da incarichi professionali all’affitto di locali di sua proprietà al Comune o alla nomina in commissioni varie». A suo carico, ricorda la prefettura, c’è quella condanna del 2007. Ma è stato indagato anche «per usura, truffa, alcuni dei quali reati archiviati per amnistia o prescrizione».

La relazione riservata cita ovviamente anche Piero, avvocato destinato a una rocambolesca ribalta. Allora difensore del mafioso Fabrizio Blandino, consulente dell’Eni e del Catania Calcio, socio di una selva di aziende. Nonché condannato nel 2009 per l’accesso abusivo nel sistema informatico del tribunale di Catania. Già a quei tempi la sua passione per i dossier sembra irrefrenabile. Indagati, reati, pm, fascicoli. Sapere è potere. Le chiavi giuste, ben oliate, da infilare nelle serrature utili.

Uno così abile non poteva che essere destinato a una luminosa carriera. Lo sospendono per appena due mesi. Nelle motivazioni del divieto di esercitare la professione di avvocato, è compendiata la sua impresa. Le informazioni passate dal cancelliere riguardavano suoi clienti. Come il clan Nardo. O il padre, Pippo. Due mesi senza toga, nell’ormai lontano 2009. Poi Piero Amara torna a esercitare, con la solita passione e gli stessi metodi. Ora è un pentito. Continua a incolpare politici e magistrati. Il volto gonfio, gli occhi roteanti, i modi melliflui. Una mezza verità dopo l’altra, fino all’apocalisse.

© Riproduzione Riservata