C’è grande attesa per il debutto al cinema del film sull’uccisione dell’erede della casa di moda fiorentina. E c’è anche il ritorno, in un’edizione rivista e aggiornata, del libro sul delitto firmato da due inviati di Panorama.
Quattro colpi di calibro 7,65 sparati nell’androne di un bel palazzo, nel pieno centro di Milano. Era la mattina del 27 marzo 1995: in poche ore l’omicidio di Maurizio Gucci, erede di una tra le principali case della moda internazionale, attraversò le cronache di tutto il mondo. La storia legata a quegli spari, del resto, coinvolgeva protagonisti che sembravano usciti direttamente dalle pagine di un romanzo noir. Venticinque anni dopo, la vicenda conserva intatta la sua capacità di sconvolgere e appassionare.
In novembre i cinema si preparano a fare il tutto esaurito per The House of Gucci, il film di Ridley Scott che rievoca il delitto con un cast stellare, da Lady Gaga ad Al Pacino. E lunedì 18 ottobre arriverà in libreria la riedizione aggiornata di L’ultimo dei Gucci (Rizzoli), il libro scritto da due ex inviati speciali di Panorama, Angelo Pergolini e Maurizio Tortorella, che per primi hanno raccontato l’intera saga della grande famiglia fiorentina della moda e – attraverso un accurato lavoro d’indagine e decine d’interviste ai protagonisti – hanno ricostruito nei minimi dettagli l’omicidio del 1995 e l’indagine di polizia che lo risolse a sorpresa, nel 1997.
La nuova edizione del libro contiene novità e rivelazioni, a partire dallo scontro legale che fino a pochi mesi fa ha contrapposto Patrizia Reggiani, l’ex moglie di Maurizio condannata a 26 anni di reclusione come mandante dell’omicidio, e le due figlie della coppia, Alessandra e Allegra, cui inopinatamente la Cassazione ha imposto di versare alla madre svariate decine di milioni di euro. In queste pagine, Panorama anticipa ampi brani del capitolo che il libro dedica alla morte di Gucci.
Lunedì 27 marzo 1995, Maurizio Gucci si alzò di buon mattino. Il sole già inondava la bella casa di corso Venezia. Al primo piano, quello della camera da letto, il silenzio era appena rotto dal primo traffico. Maurizio amava quell’appartamento. Era in affitto, è vero, e per arredarlo aveva speso una vera fortuna. Ma ne era valsa la pena. Dopo la doccia passò nella sala, dove da qualche mese aveva fatto mettere un antico biliardo. Accarezzò il panno verde, soppesò le biglie d’avorio, le stecche appena comprate e sorrise. Quel pomeriggio avrebbe trovato almeno una mezz’ora di tempo per allenarsi in vista della prossima partita con gli amici. Salutò Paola (Paola Franchi, arredatrice milanese e l’ultima compagna di Maurizio Gucci dopo il suo divorzio da Patrizia Reggiani, ndr) con un bacio e scese lo scalone di marmo. Arrivò in strada che erano quasi le 8 e 30.
A quell’ora il traffico in corso Venezia era molto più intenso. Non faceva ancora caldo. «Sarà una bella primavera» pensò Maurizio. Il pesante portone grigio si chiuse alle sue spalle con uno schiocco. Allungò il passo verso destra e al semaforo si arrestò come sempre, per abitudine. Alzò gli occhi: verde, poteva attraversare. Imboccò via Palestro. Cento passi e sarebbe arrivato al suo ufficio, al numero 20. Era una sistemazione molto comoda. In quel palazzo aveva sede la Viersee Italia, un’immobiliare acquistata da Maurizio alla metà del 1994.
«Sono un uomo tutto casa e lavoro» scherzava sempre, alludendo a quell’eccezionale vicinanza tra l’appartamento e l’ufficio. Cento passi. Ogni mattina Maurizio misurava quella distanza. Contava le 19 finestre che si affacciano sul marciapiede e prendeva nota mentalmente delle piccole novità che incontrava sul cammino: quel lunedì 27 marzo osservò gli alberi del parco, ormai in fiore.
Maurizio entrò nella penombra dell’ingresso del numero 20, scavalcando d’un balzo lo zerbino bordato di ottone lucido. Giuseppe Onorato, il portiere, era quasi nascosto dietro al grande portone semiaperto. Stava spazzando alcune foglie secche, portate lì dall’ultimo vento dell’inverno. Maurizio lo vide appena. Uomo simpatico quel Pino. Era un siciliano sulla cinquantina, dalla figura un po’ allampanata ma dotata di una sua eleganza; portava gli occhiali appesi al collo con una stringa di cuoio e teneva con cura i due baffetti brizzolati. Quella mattina Pino aveva pulito il pavimento di granito rosso e si sentiva un buon odore di cera. Si salutarono frettolosamente, come sempre: «’giorno…» disse Maurizio. «Buongiorno a lei dottor Gucci» fu la risposta. Attraverso la fessura del portone, Pino notò appena un’ombra che passava veloce.
Maurizio aveva già attraversato l’atrio, stava avvicinandosi ai cinque gradini che portavano al pianerottolo dell’ascensore. Il primo colpo lo centrò alla spalla sinistra: il sangue schizzò sui muri e sul vetro della guardiola. Il secondo lo ferì al braccio destro. Maurizio cadde in avanti, sui gradini, con un grido soffocato. La pistola sparò ancora, con un rumore attutito, come un tonfo sulla sabbia, e Maurizio fu colpito al gluteo destro. Immerso nel suo sangue Gucci si lamentava a bassa voce. L’ombra si avvicinò al corpo che sussultava per il dolore. Puntò l’arma alla tempia sinistra di Maurizio e sparò per la quarta volta. Il proiettile trapassò il cranio e si schiacciò sul pavimento. Maurizio Gucci cessò di muoversi.
L’assassino si voltò per riguadagnare l’uscita, la pistola sempre ben salda in pugno. Pino, che aveva seguito terrorizzato la rapidissima scena, d’improvviso se lo trovò di fronte. Aveva i capelli corti, volto tondeggiante, regolare e abbronzato. Era un tipo alto e robusto, portava un giaccone beige, slacciato al collo, sotto al quale si intravedeva la cravatta. Pino pensò che forse era lo stesso uomo che aveva notato mezz’ora prima, pigramente appoggiato a una Renault Clio verde parcheggiata dall’altra parte della strada, ma non ebbe il tempo per rifletterci sopra. L’assassino gli puntò contro la lunga canna di una strana arma.
Il portiere fece appena in tempo a notare un grosso silenziatore, un cilindro di metallo pieno di una sostanza simile al feltro. Poi lasciò cadere la scopa, si piegò in avanti e istintivamente si coprì il volto con il braccio sinistro. Partirono due colpi in rapida successione. Pino sentì una forte fitta alla spalla. Prima di svenire, pensò: «Che morte stupida!».
Il killer accelerò i passi verso l’uscita e mentre attraversava il portone si scontrò con Sonia Subranni, una giovane impiegata, che proprio in quel momento stava entrando. «Che maniere!» l’apostrofò la ragazza. L’assassino la superò senza dire una parola e si mise a correre verso piazza Cavour, in direzione del centro di Milano.
Fu soltanto allora che Sonia si accorse dei due corpi che erano a terra. Soffocò un grido e il ribrezzo per il lago di sangue che si allargava sul pavimento. Sotto choc, estrasse una busta dalla borsetta e farfugliò: «Adesso come faccio? A chi la lascio, adesso?». Pino, sebbene stravolto dal dolore, si era riavuto: «La metta nella guardiola, ma per favore prima chiami aiuto». Giovanni De Candia, il proprietario del chiosco delle bibite all’ingresso del parco, notò quell’uomo bruno e agitato che correva in mezzo alla strada. Lo seguì con gli occhi mentre veniva affiancato da una piccola auto verde, poi lo vide salire sull’utilitaria che ripartì con uno scatto. Fu in quel momento che sentì il grido. Era una donna che urlava disperatamente:
«Aiuto!». De Candia corse verso il portone del numero 20. La ragazza gli si parò davanti. Era scossa dai singhiozzi. Dietro di lei un uomo si contorceva appoggiato al muro della guardiola, lamentandosi sommessamente. Più in alto intravide una sagoma scomposta. «Si calmi» urlò alla ragazza. Poi attraversò la strada di corsa, afferrò il telefono del suo chiosco e con mano tremante compose il 112.
La gazzella arrivò in pochi minuti. Ne scesero due militari con le armi in pugno, ed entrarono nell’androne. Uno s’inginocchiò accanto al corpo di Maurizio Gucci e gli tastò il collo. La vena giugulare non pulsava, il cuore non batteva più. Pino Onorato era semicosciente, si lamentava per il dolore: le due pallottole gli avevano spappolato l’omero sinistro. Il portiere fece appena in tempo a pronunciare poche parole: «Aiutatemi, aiutatemi… Quello è il dottor Gucci, Maurizio Gucci. È stato un uomo con la pistola». Chiese: «L’ha ucciso?». Poi Onorato svenne nuovamente.
I carabinieri chiamarono via radio un’ambulanza. Quasi contemporaneamente arrivarono altre pattuglie con gli uomini della Squadra omicidi e della Scientifica. «Chi è il morto?» chiese un appuntato alto e biondo. Gli rispose il carabiniere che era arrivato per primo: «È Gucci, quello delle borsette». L’appuntato replicò, sarcastico: «Sì, e io sono Valentino».