In un viaggio dalla Svizzera alla Sardegna, utilizzando il traghetto dal porto di Genova, nessun accertamento o ispezione ai veicoli né alle persone. Ecco la cronaca dei giornalisti di Panorama. Per segnalare una «falla di sistema» potenzialmente molto pericolosa.
Sono le 15 e 30 di sabato 9 luglio 2022 quando arriviamo a Genova, da dove ci imbarcheremo per Porto Torres, in Sardegna. La partenza è stata da un territorio «extra Ue», le Alpi svizzere. Oltrepassate le quali, non abbiamo avuto alcun intoppo. O nulla più di uno sguardo benevolo al confine, da parte dei funzionari della polizia di frontiera. A Genova, scopriremo che la situazione non cambia molto. Anzi, peggiora. Ecco la cronaca di un viaggio che, in qualcuno, dovrebbe suscitare più di un interrogativo.
Nel porto ligure ci mettiamo dunque in fila per accedere all’area degli imbarchi. Qualche minuto e un funzionario controlla la nostra prenotazione e dà uno sguardo distratto alle carte di identità, quindi ci indica la direzione da prendere. Tutto scorre e, nonostante il solleone insista su di noi e sui controllori, non ci sono disagi. Tra poco inizierà la procedura di accesso a bordo delle auto – prevista per le 16 – su un traghetto della Grandi Navi Veloci (Gnv). Siamo in perfetto orario. Tutto, però, è fin troppo veloce.
Nessuno infatti degna l’auto di uno sguardo né si vede l’ombra di un addetto alla sicurezza che dia un’occhiata al nostro (voluminoso) bagaglio. Mentre saliamo a bordo, leggiamo lo scoop del Washington Post, che rivela come nell’estate 2014 il leader dello Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi organizzò un incontro segreto con Abu Malik, ex ingegnere chimico addestrato in Russia, commissionandogli la produzione di bombe al cloro, iprite e antrace, per compiere attentati in Occidente. Pensavano di imbottire auto e camion da far esplodere in centri abitati, nei pressi di stadi e, appunto, su navi turistiche…
Ora, se anche noi o chi ci accompagna fossimo dei malintenzionati – senza bisogno di essere jihadisti, potremmo essere anche solo corrieri della droga o trafficanti di armi – riusciremmo a imbarcare esplosivi, stupefacenti o chissà cos’altro senza alcuna difficoltà. Le nostre auto parcheggiate nella stiva del traghetto potrebbero saltare in aria con un semplice congegno e far colare a picco la nave. Così come armi nascoste nel bagagliaio potrebbero consentirci di sequestrare o, peggio (l’America insegna), uccidere decine di persone durante la navigazione. Questo perché nessuno controllerà mai il bagaglio: né all’ingresso del traghetto né una volta terminato l’attracco.
Qui c’è un solo addetto alla sicurezza, che si limita a metterci un adesivo sul vetro dell’auto. Alle 17, parcheggiato il veicolo all’interno della nave, si può anche scendere. Non un ostacolo, un percorso obbligato o un varco di sicurezza a chiedercene conto. Una volta sulla terraferma, potremmo azionare un timer e far esplodere il traghetto non appena sarà in mare aperto.
Uno scenario da film? Forse. Eppure, dopo l’11 settembre 2001, dopo la strage del Bataclan a Parigi, dopo le auto sulla folla a Nizza e Berlino, o gli attentati negli aeroporti in Belgio e le stragi sventate in tutto il mondo (Italia compresa), le nostre forze di sicurezza sono tenute a ipotizzare che nessun «target» è proibitivo per i terroristi. E più noi lo consideriamo tale, maggiore è la possibilità che per loro corrisponda a un obiettivo da colpire.
Per rendersene conto basta dare un’occhiata alla martellante propaganda che corre sulle «autostrade del web». Dove, ancora oggi, lo Stato islamico incita i suoi adepti a «colpire gli infedeli ovunque e con ogni mezzo», senza distinguere tra civili e militari, e fornisce suggerimenti pratici: veri manuali su come imbottire un’auto di tritolo o costruirsi una bomba in casa. Abu Malik, il chimico dell’Isis, non è sopravvissuto alla liberazione di Mosul, in Iraq, e il suo laboratorio di morte è stato distrutto. Ma, come ha sottolineato al Post Gregory Koblentz, direttore del Biodefense graduate program della George Mason University, «se i miliziani del Califfo avessero avuto scorte massicce di armi chimiche, oltre che di fucili e bombe, non solo l’Iraq ma l’Europa intera sarebbe stata in pericolo».
Altri sono pronti a prendere il suo posto in nome della «lotta ai Crociati». Soltanto lo scorso 7 giugno una maxi operazione antiterrorismo della polizia di Stato, coordinata dalla procura di Genova, Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo, ha disarticolato una rete di cittadini pakistani «inseriti nel circuito relazionale diretto di Hassan Zaher Mahmood, pakistano che il 25 settembre 2020 a Parigi ha compiuto un attacco nei pressi della ex sede della rivista satirica Charlie Hebdo». Erano pronti a colpire in Italia e in Francia. Con il loro leader che aveva già ottenuto lo status di rifugiato in Italia dal 2015.
E c’è da immaginare che, all’imbarco di Genova – dove nel solo mese di maggio sono transitati oltre 120 mila passeggeri per i traghetti e più di 100 mila per le crociere – sarebbe potuto passare. Oggi i porti sono un obiettivo sensibile da proteggere non meno degli aeroporti.
