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Mostro di Firenze, il DNA riapre la pista sarda: Natalino Mele era figlio di Giovanni Vinci

Mostro di Firenze, il DNA riapre la pista sarda: Natalino Mele era figlio di Giovanni Vinci

Il DNA smentisce la paternità di Stefano Mele e collega Natalino a Giovanni Vinci. Nuovi scenari si aprono nella più oscura saga criminale italiana

È l’estate dei cold case all’italiana. Un’aria torrida, densa di vecchi segreti e nuove prove, si abbatte sui grandi misteri criminali del nostro Paese. E nella nebbia che ancora avvolge uno dei più feroci incubi italiani, un nome si riaffaccia come un’ombra mai dissolta: Mostro di Firenze. Stavolta però non si tratta di una semplice suggestione. Il DNA, ancora una volta, riscrive la storia. E lo fa con un colpo di scena che rimette tutto in discussione.

Il bambino sopravvissuto e il padre biologico mai sospettato

Natalino Mele, il bambino di sei anni e mezzo che nell’agosto del 1968 scampò al primo delitto della serie, non era figlio di Stefano Mele, l’uomo condannato per quel crimine. Lo rivela un accertamento genetico disposto dalla Procura, e affidato al genetista Ugo Ricci, già noto per aver risolto, fra gli altri, il caso Poggi a Garlasco.

Il padre biologico di Natalino era Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore Vinci, figure chiave della cosiddetta “pista sarda”. Giovanni, però, non è mai stato sfiorato dall’inchiesta. Fino ad ora. E ora si scopre che era anch’egli un amante di Barbara Locci, la madre di Natalino, assassinata a colpi di calibro 22 insieme all’amante Antonio Lo Bianco a Signa.

Un uomo cresciuto con un’identità falsa

Natalino ha appreso la notizia pochi giorni fa. Spaesato, ha dichiarato: «Quest’uomo non l’ho mai neanche conosciuto». Cresciuto convinto che il padre fosse Stefano Mele, l’uomo condannato per l’omicidio della madre, oggi scopre che la sua storia familiare era stata – nel migliore dei casi – travisata, e nel peggiore, sepolta.

Ma il killer sapeva chi fosse il vero padre del bambino? E se sì, perché lo risparmiò quella notte? Sono domande che restano sospese, come il dettaglio più inquietante: Natalino percorse due chilometri al buio, su una strada di campagna, senza una macchia sui calzini.

Un’indagine che parte da lontano

L’intuizione investigativa risale al 2018. All’epoca, le indagini – poi archiviate – sull’ex legionario Giampiero Vigilanti, portarono i Ros a prelevare, in gran segreto, due profili genetici. Uno era quello di un figlio di Salvatore Vinci, che collegò il padre a un panno intriso di sangue e polvere da sparo rinvenuto dopo il delitto di Vicchio nel 1984. L’altro era quello di Natalino. Solo dopo anni i militari riuscirono a rintracciarlo. Per completare l’analisi, Ricci ha utilizzato anche il DNA di Francesco Vinci, riesumato recentemente.

Una verità che riapre l’inferno

La nuova scoperta ribalta la narrazione di quella notte del 1968. Stefano Mele, il marito della vittima, aveva da subito accusato i fratelli Vinci, che si alternavano nel letto della moglie Barbara Locci. Ma a finire in carcere fu solo lui: condannato per omicidio e calunnia. Eppure, oggi emerge che proprio uno di quei fratelli – Giovanni – aveva un legame biologico con il bambino sopravvissuto. E allora, chi fu davvero a sparare a Signa?

L’arma del delitto, una Beretta calibro 22, non è mai stata trovata. Ma la stessa pistola tornerà in scena sei anni dopo, nel 1974, a Borgo San Lorenzo, con l’omicidio della seconda coppia. Inizia lì, formalmente, il regno di terrore del Mostro di Firenze.

Il DNA non dimentica

Tra colpi di scena, errori giudiziari, sospetti incrociati e piste insabbiate, il caso del Mostro di Firenze resta un labirinto oscuro in cui la verità si è persa tra sangue e silenzi. Ma ora, grazie alla genetica, un nuovo sentiero si apre. E se davvero Giovanni Vinci fu il padre biologico di Natalino, allora la pista sarda – mai del tutto abbandonata – potrebbe rivelarsi più viva che mai.

Il mostro, forse, ha ancora un nome. E ancora una storia da raccontare.

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