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Milano si sta trasformando in Gotham City

Milano si sta trasformando in Gotham City

Al sindaco Sala non piace l’accostamento della metropoli che governa a quella di Batman. Ma tra decine di baby gang, rapper che cantano la violenza, rapine e pestaggi in pieno centro, la sicurezza dei cittadini e l’ordine pubblico del capoluogo lombardo sono sempre più precari.


Milano esterno giorno. Centralissima via Senato: un ragazzo è fermo in bicicletta al semaforo rosso; dal marciapiede scendono quattro coetanei, lo circondano, prendono a calci lui e il mezzo. Poi lo colpiscono da terra, gli rubano il portafoglio e l’Atala City Bike. Tutto in 20 secondi, al verde gli automobilisti sgommano disperdendo il capannello con i clacson. Provano solo fastidio. Quel giovane non esce di casa da un anno per il trauma psicologico.

Esterno sera, nei pressi del modaiolo quartiere City Life: un ventenne sta portando fuori il cane. Viene avvicinato da cinque minorenni, due gli mettono una catena al collo e tirano, lui cade gridando aiuto. Il boxer comincia ad abbaiare e a ringhiare, loro scappano. Quando va a denunciare l’aggressione con i genitori, la vittima mostra sotto il collo della camicia i segni ancora rossi della catena sulla gola.

Esterno notte. Piazza Gae Aulenti, dove Milano pretende di diventare Londra: un gruppo di amici chiacchiera all’uscita da un ristorante sotto i grattacieli. Due si attardano e vengono approcciati da ragazzini sudamericani che strappano loro orologi e catenine per poi perquisirli in cerca di soldi e telefonini. Gli altri si accorgono del trambusto, tornano indietro e li salvano, i baby gangster si dileguano. Nessuna denuncia, tanto spavento.

Tre episodi simili, tre lampi di prepotenza gratuita praticamente quotidiana che non finiscono nelle cronache e nelle statistiche, ma lasciano il senso di un malessere profondo. Nella metropoli delle innovazioni, delle transizioni e delle mistificazioni, la violenza urbana non è solo un capriccio di Capodanno. In quel caso, davanti a 15 vittime e 12 denunce dopo i soprusi del branco in piazza Duomo, era impossibile non mostrare apprensione istituzionale almeno per qualche giorno, ma in generale la capitale delle tendenze è bravissima a nascondere quelle imbarazzanti. Lo fa perfino con la truffaldina esaltazione green: nell’immaginario sembra Oslo, in realtà, secondo la rivista medica Lancet, è la peggiore città d’Europa per qualità dell’aria, davanti anche ad Atene, con quattromila morti – evitabili – all’anno.

Le chiamano «baby gang», la legge del branco vale dai tempi di West Side Story ma qui nessuno canta e balla. Spiega il questore Giuseppe Petronzi: «Si muovono come nuvole nella folla per poi scomparire; le vittime rimangono a terra e loro non ci sono più». I carabinieri e la questura ne hanno mappate 13, ciascuna è radicata in un quartiere (prende la sigla del municipio di riferimento) e colleziona aggressioni, scippi, rapine. Sono bande di immigrati di seconda generazione ai margini della società; ragazzi perduti, vittime di drammi famigliari, tutti con l’unico mantra della visibilità social. L’approccio è comune, mandano in avanscoperta i due più giovani (anche dodicenni) che agganciano il passante con un pretesto. Poi arrivano i boss con il coltello e con una filosofia elementare ma efficace. «Non gridare e facci vedere quello che hai in tasca. Tranquillo; questa sera è toccato a te. Questa cosa qua ci serve per mangiare». L’elemento dell’indigenza è fuorviante, spesso si tratta di violenza annoiata, da Arancia Meccanica; lo conferma l’aumento delle molestie sessuali, sette donne aggredite negli ultimi quattro giorni di marzo.

«Stanno dipingendo Milano come una Gotham City buia, paurosa, non attrattiva. Ma che film è?» si domandava il sindaco Giuseppe Sala, irritato per lo smantellamento progressivo della narrazione da Città della gioia. Lui nega l’emergenza, sostiene che sia il centrodestra ad alimentarla e parla di «gap tra la realtà e quello che la politica in modo strumentale vuole fare apparire». Al massimo concede che «ci sono disordini fra ragazzini che vengono da fuori». Non fa in tempo a finire la frase che i siti rilanciano un video nel quale una baby gang sudamericana prende di mira un tram in una via del centro: sono una dozzina, tutti giovanissimi (dai 14 ai 16 anni), bloccano il mezzo ostruendogli il passaggio su binari, lo prendono a calci, minacciano da fuori i passeggeri. Poi, come se la sceneggiata fosse un trofeo da esibire, esultano e postano su Instagram e TikTok. Non siamo ancora al «Welcome to favelas», ormai famoso spazio social dove vengono postate immagini di degrado metropolitano, ma quei video fanno la fortuna del sito «MilanoBellaDaDio».

Senza Batman a svolazzare nella notte, la città diventa terreno di conquista. Lo è quando un vigile urbano viene aggredito sui Navigli da un gruppo di «skater di Bolzano» in trasferta; lo è quando centri sociali e maghrebini si sfidano a colpi di mazze per occupare un capannone; lo è quando nella Loggia dei Mercanti, a due passi dal Municipio, le bande si danno appuntamento per stabilire a botte la supremazia territoriale. Di solito accade il sabato sera e di solito a fare le spese della violenza etnica è il monumento al Partigiano di Cini Boeri, più volte danneggiato da gente digiuna di storia e di architettura. Da qualche settimana una camionetta della Celere sosta lì davanti.

Tredici baby gang, ecco le più significative. Le bande della movida sono due e operano alle Colonne di San Lorenzo e sui Navigli; specialità rapine per strada e risse nei locali. Sono la «Gang Duomo» e la «Barrio Banlieue». Numerosi nordafricani, punti di riferimento i social e il centro culturale Barrio. Poi c’è la categoria dei trapper, guidata dai «Gangsta 7 Zoo», che si incrociano fra Baggio e San Siro. Sono italiani e arabi, si esibiscono in pestaggi al City Life e all’Arco della Pace, si atteggiano a malviventi delle periferie americane dipinte da Hollywood: auto di lusso, catene d’oro, giubbotti firmati e un idolo da videoclip, il rapper Neima Ezza.

Sullo stesso piano ci sono quelli della «Ko Gang», minorenni italiani, marocchini ed egiziani che invece adorano il cantante El Kobtane si fanno conoscere postando sui social risse nei bar. Gli «Z4 Gang» sono simili, solo che hanno il quartier generale a Corvetto. Lo scenario dei loro video è lo stesso per tutti: pistole in pugno, droga, alcol, pupe struscianti, pacchi di soldi. E sfide alla polizia. Gli adoratori su Instagram del rapper Baby Gang (al secolo Zaccaria Mouhib, 20 anni) sono 600 mila e qualcuno si sarà pure stupito quando è stato arrestato e poi rilasciato in un’inchiesta su una serie di rapine. Trasversale come tutte le star, è l’idolo dei minorenni albanesi, romeni, italiani e nordafricani della «Z4» che si riuniscono dalle parti di Calvairate; sono specializzati in raid sugli autobus e prediligono zone d’operazione come Città Studi e il parco Ravizza. Gli studenti della Bocconi sono obiettivi primari; per proteggerli l’università ha dovuto attivare un servizio scorta dall’ateneo ai campus. I «Ripamonti M5» sono tutti italiani, specializzati in atti di bullismo. Non demordono – ma fanno la figura dei reduci o dei nonni dei fiori – gli anarchici dei centri sociali, soprattutto del «Cuore in Gola». Un dato inquietante è il collegamento di alcune piccole gang con le ’ndrine calabresi. La fotografia scattata dalle forze dell’ordine manda in soffitta ogni accusa di «paranoia securitaria» (frase che piace all’amministrazione Sala) e dà ragione a chi da tempo lancia l’allarme sicurezza a Milano. «Queste bande sono il risultato di politiche miopi delle giunte buoniste di centrosinistra. Chi delinque va punito, ma l’integrazione parte dalla valorizzazione dei giovani prima che seguano modelli negativi» ha denunciato l’assessore regionale allo Sviluppo città metropolitana, giovani e comunicazione Stefano Bolognini (Lega) prima di chiedere le dimissioni dell’assessore comunale alla Sicurezza, Marco Granelli.

Con un effetto surreale, il sindaco si è detto «disgustato» non dalla situazione ma dalla critica. Poi ha promesso di assumere 500 vigili, di installare altre 600 telecamere e ha chiesto 250 agenti in più al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, che fu prefetto di Milano nella stagione dell’accoglienza diffusa. E che sostiene: «È sbagliato associare le aggressioni all’immigrazione. Bisogna ricostruire il tessuto sociale». Per il procuratore capo del Tribunale dei minori, Ciro Cascone, la sociologia ha meno spazio: «Quei ragazzi confondono spesso reale e virtuale, sono attratti da azioni violente che vedono come goliardate e invece sono reati».

Fra allarmi e negazionismi Milano mostra il volto del cinismo, della paura. Non sarà Gotham City ma neppure il paradiso dell’inclusione che va di fretta in bicicletta. Qualche giorno fa in un pronto soccorso è arrivato un adolescente con la schiena sanguinante, scorticata. Dopo avergli rubato telefonino, orologio, soldi, giubbotto e pullover di marca, i baby gangsta lo hanno trascinato per metri sull’asfalto. «Volevano portarmi via anche le Nike Jordan». n

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