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Furbetti di Stato

Furbetti di Stato

È un vero assalto alla Pubblica amministrazione, come dimostrano 256 inchieste nel solo 2021, con migliaia di indagati per peculato. Semplici dipendenti ma anche dirigenti, ufficiali, medici, poliziotti, assessori. E politici…


A conferma che la Pubblica amministrazione assomiglia sempre più a una «mucca da mungere» ci sono centinaia di inchieste: 256 (per qualche migliaio di indagati) solo nel 2021, stando alle certificazioni del Servizio di analisi criminale del ministero dell’Interno. E anche per tutto il 2022 si sono moltiplicati i procedimenti per peculato, un reato che si configura quando un dipendente pubblico si appropria (o ne può disporre) di un bene pubblico che gli è stato affidato in ragione del suo ufficio, oppure lo sfrutta per finalità personali. L’incidenza è di 1,82 eventi ogni 100 mila abitanti (media nazionale). Con una forte presenza in Molise (5,94 casi), Toscana (3,60) e Valle d’Aosta (3,12), nelle regioni centrali e in parte meridionali e con una spiccata prevalenza nella città metropolitana di Roma. Ma dalla Ragioneria generale dello Stato c’è chi fa notare che «più che in relazione agli abitanti il dato dovrebbe essere confrontato con il numero di dipendenti pubblici». In quel caso l’incidenza dei furbetti di Stato risulterebbe particolarmente allarmante. Anche perché, stando alle inchieste, della «Pa» viene sfruttato di tutto. E la pratica più comune è l’uso dell’auto dell’amministrazione per i viaggi privati.

Come è successo a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze, dove l’ex assessore di una giunta dem Riccardo Nucciotti (in carica fino al luglio scorso, quando il sindaco del Pd, Emiliano Fossi, ha rassegnato le dimissioni per candidarsi alle elezioni politiche venendo eletto alla Camera), insieme a un funzionario comunale, se ne sarebbero andati in giro con le auto municipali in almeno 44 occasioni (tante ne hanno ricostruite i carabinieri). Sempre per l’uso dell’auto di servizio, questa volta della polizia municipale, a Manduria, nel Tarantino, dopo lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose, sono finiti nei guai un funzionario comunale e il comandante dei vigili, il commissario prefettizio Francesca Adelaide Garufi e il prefetto in pensione Antonio Saladino, il viceprefetto Luigi Scipioni e un funzionario della Prefettura.

A Roma, invece, alcuni dipendenti dell’Ama, la società «in house» del Comune che gestisce la raccolta di rifiuti, avrebbero prelevato il gasolio dai mezzi dell’azienda per poi rivenderlo in nero o per fare il pieno alle loro auto. Ad Armento, in Basilicata, tre dipendenti del Comune avevano trovato l’albero della cuccagna proprio nei loro uffici, disponendo mandati di pagamento gonfiati, sostiene l’accusa, rispetto alle ore di lavoro realmente effettuate. C’è poi chi avrebbe incassato direttamente fondi degli enti. A Perugia è saltato fuori che un impiegato dell’Ufficio riscossione dell’Agenzia delle Entrate sarebbe riuscito a intascare 56 mila euro versati dagli utenti che chiedevano di rateizzare le loro cartelle. Invece Filippo Barattolo, già commissario regionale dell’Udc e prima ancora assessore al Comune di Bari quando Michele Emiliano era sindaco, da commissario liquidatore di alcune cooperative sottoposte alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, secondo l’accusa avrebbe incassato per sé parte del denaro che era nella sua disponibilità per ragioni di ufficio.

La Sanità non è esente da questi episodi criminali. Il caso più eclatante degli ultimi anni è di certo quello che ha coinvolto l’ex commissario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri che, stando a una prima prospettazione dei pm, aveva permesso a due fornitori di mascherine (per miliardi euro) di ottenere «un rapporto commerciale con la Pubblica amministrazione senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture». L’accusa anche in questo caso era di peculato, ma è sparita dall’avviso di chiusura indagini notificato nel marzo scorso (in cui è rimasta solo l’ipotesi di abuso d’ufficio). Con molta probabilità i magistrati dovrebbero aver chiesto chiesto l’archiviazione. Ma c’era chi preferiva depredare gli ospedali. Dal reparto di oculistica dell’ospedale di Catanzaro, per esempio, sparivano farmaci e strumentazione. Sotto inchiesta sono finiti un dirigente medico e la sua équipe. Dal reparto di Medicina e chirurgia di Caltagirone (Catania) venivano sottratti farmaci, garze e disinfettanti. Questa volta nei guai è finito un ausiliario ospedaliero.

Non sono indenni neppure le caserme. A Verona un poliziotto ha patteggiato una pena di un anno e 6 mesi e un risarcimento di 5 mila euro per aver prelevato cartucce e toner dalle stampanti degli uffici della Questura per rivenderle sul portale di aste online Ebay. Piattaforma sulla quale erano finiti pure gli stivali da motociclista di un agente della Stradale. Essendo beni di proprietà del Dipartimento di pubblica sicurezza, il pubblico ufficiale non può appropriarsene né, tantomeno, metterli in commercio. Se ne è accorto il suo comandante, che ha visto l’annuncio. E l’ha denunciato. A Massa, invece, una ufficiale dei carabinieri è finita a processo perché, secondo la Procura, si sarebbe appropriata di denaro (circa 5 mila euro), gioielli e un iPhone che erano sotto sequestro penale e custoditi in caserma.

In tentazione è caduta persino qualche toga. A Perugia lo scorso maggio Chiara Schettini, ex giudice della Sezione fallimentare – e nota per una sentenza scritta nel 2000 in cui riconobbe l’utero in affitto per una donna che non riusciva ad avere figli – è stata condannata a 7 anni per aver redatto provvedimenti che attestavano fondi, in realtà inesistenti, a favore di creditori predeterminati per appropriarsi, in seguito, del denaro. A Frosinone si segnala un cancelliere del Tribunale: avrebbe trafugato le marche da bollo che depositavano gli avvocati insieme alle loro pratiche e le avrebbe sostituite con altre ritagliate da fascicoli già chiusi. E anche a scuola il peculato è un fenomeno diffuso. A Sondrio lo scorso ottobre è finito ai domiciliari il provveditore agli studi Fabio Molinari. Tra le accuse c’era quella di «distrazione di fondi pubblici per scopi non scolastici».

Risorse «distratte» pure a Salerno. Ma la protagonista, questa volta, è un’amministratrice di sostegno incaricata dal Tribunale di occuparsi di un’anziana incapace di intendere e volere: nel giro di pochi mesi, ha accertato la Procura, «inducendo in errore il giudice tutelare, avrebbe distratto, a proprio vantaggio, somme per oltre 130 mila euro». Come in tutti gli altri casi, i magistrati hanno ipotizzato il reato di peculato.

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