Il Fentanyl, che mette in ginocchio l’America con decine di migliaia di morti all’anno, ha un’origine sospetta. È prodotto da aziende cinesi (e Pechino tollera). Intanto, in Italia, anche con un giro di ricette false dilaga il consumo di oppioidi.
Wuhan, ancora una volta Wuhan, sempre Wuhan. Non bastavano i sospetti sulle origini «militari» del Covid e sul famigerato laboratorio dell’Istituto di virologia del capoluogo della regione dello Hebei, nel cuore della Cina, da dove si teme il virus sia uscito – accidentalmente o intenzionalmente – alla fine del 2019. Ora si scopre che sempre a Wuhan viene prodotto, in massima parte, anche il micidiale Fentanyl: la droga sintetica che negli ultimi anni sta devastando gli Stati Uniti. Cinquanta volte più potente della morfina, da cui deriva, e cento volte più devastante dell’eroina, il Fentanyl ha soppiantato nelle vendite ogni altro oppiaceo. È così perché rispetto a ogni altra droga il Fentanyl è molto più facile da assumere: oltre a essere iniettato, può essere sniffato, ingerito e perfino assunto sotto forma di collirio o applicato attraverso cerotti. Ed è anche più economico: una compressa in media viene venduta per strada a 10-15 dollari, un cerotto (che dura di più) a meno di 20. In America, il Fentanyl aggredisce soprattutto la fascia tra i 16 e i 39 anni. I consumatori sono in prevalenza maschi, ma appartengono a ogni categoria sociale. E sono decine di milioni, tra consapevoli e no. Il vero problema, infatti, è che gli spacciatori, all’insaputa degli acquirenti, lo usano anche per «tagliare» le partite di altri stupefacenti con un cinico obiettivo commerciale: il Fentanyl esalta gli effetti delle altre sostanze, ma la sua durata di tempo è molto inferiore. Quindi induce una dipendenza più veloce e piena. Ed è grazie a questo «cocktail» di caratteristiche che si sta diffondendo, quasi peggio del Covid. La Drug enforcement administration, (dea) l’agenzia antidroga americana, definisce il Fentanyl come «la peggiore minaccia chimica nei 247 anni di storia del Paese». Non è un’iperbole.
Negli Stati Uniti il Fentanyl è arrivato attorno al 2010, ma già nel 2017 aveva fatto quasi 30 mila vittime. Tra il 2018 e il 2022 si calcola siano state 250 mila. L’anno scorso i morti sono stati 72 mila, per una media di quasi 200 decessi al giorno e il 66 per cento di tutti quelli causati da un’overdose. Quest’anno il National institute on drug abuse stima se ne aggiungeranno altri 100 mila. Nelle cronache americana non si era mai registrata un’impennata simile, né era accaduto che una sola sostanza uccidesse così tante persone. Ma il disastro causato negli Stati Uniti dal Fentanyl, se possibile, va ancora oltre la sua triste contabilità cimiteriale. È una vera crisi epocale. Le nuove generazioni sono letteralmente minate. Su internet girano video sconvolgenti. Non c’è città americana – da San Francisco a New York – che non veda qualche via trasformata nel set di un brutto film dell’orrore, con decine, centinaia di giovani inebetiti, ridotti a zombie, gli occhi fissi nel vuoto.
Il vortice chimico annebbia la mente, annichilisce l’intelletto, paralizza la volontà, crea una dipendenza irreversibile. Dietro a questo disastro c’è la Cina. A produrre il 90-95 per cento del Fentanyl consumato in America è la Repubblica popolare, e in particolare il distretto di Wuhan. In aprile il Dipartimento del tesoro ha sanzionato un’azienda di Wuhan, la Shuokang biological technology, e una decina di persone dedite al traffico illegale di Fentanyl verso gli Stati Uniti. Il 3 ottobre il Dipartimento di giustizia ha messo sotto accusa altre due grosse società di Wuhan, la Lihe Pharmaceutical e la Hanhong Medicine, che assieme a sei aziende della provincia dello Hebei sarebbero tra i principali produttori di Fentanyl. Fin qui gli Stati Uniti si sono difesi come hanno potuto: con la legge. Ma è come vuotare il mare con un cucchiaino bucato. Dal 2020 la Dea disegna mappe sempre più dettagliate dei percorsi seguiti dai trafficanti, che dalla Cina esportano i principi attivi del Fentanyl negli Stati Uniti passando per il Canada e soprattutto per il Messico.
Negli ultimi anni i narcos messicani sono divenuti i migliori complici dei produttori cinesi: da loro acquistano la materia prima grezza, la trasformano in pasticche, in liquido o in cerotti, e poi ne gestiscono lo spaccio nel territorio americano. Non è difficile capire perché a Washington il micidiale Fentanyl oggi venga visto come un’arma destabilizzante nelle mani di Pechino, probabilmente una tra le più efficaci nella grande gara per la supremazia globale. Tanto che, al Congresso, c’è chi comincia a riferirsi al Fentanyl come alla «droga cinese», replicando con l’espressione l’accusa esplicita lanciata nel 2020 da Donald Trump riguardo al Covid. Meno aggressivo del suo predecessore, Joe Biden nell’ultimo vertice di San Francisco ha voluto mettere i traffici di Fentanyl tra i primi temi da negoziare con Xi Jinping, accanto alle mire di Pechino su Taiwan e ai rischi globali della nuova guerra in Israele.
Il 17 novembre, alla fine del summit, Xi ha promesso che la Cina «contrasterà i produttori illegali cinesi e i loro traffici». Non è la prima volta che Washington riceve questo tipo di garanzie. Nel novembre 2019, in base a un accordo di cooperazione investigativa e giudiziaria stretto mesi prima dal governo di Pechino con l’amministrazione Trump, nove fabbricanti cinesi erano stati condannati da un tribunale dello Hebei per traffico illegale di Fentanyl negli Stati Uniti. Due di loro erano stati addirittura messi a morte. La dura sentenza doveva dare prova della buona fede del governo cinese, che nel maggio 2019 aveva anche inserito la droga in una «black list» di sostanze vietate. In realtà, con quella mossa scenografica, Xi aveva puntato a ottenere un allentamento della pressione sul fronte dei dazi commerciali, varati da Trump a partire dal 2017. Quattro anni fa, peraltro, la situazione era ancora più imbarazzante per la Cina, perché i suoi produttori di Fentanyl non si erano ancora affidati del tutto ai narcos messicani ed erano molto più esposti: lo spedivano già pronto per il consumo direttamente negli Stati Uniti, spesso addirittura per posta.
La repressione promessa nel 2019 da Xi, comunque, si era presto mostrata una strumentale finzione scenica. Tant’è vero che il traffico del Fentanyl cinese verso gli Stati Uniti ha continuato a crescere. L’unica differenza, da allora, è stata l’ingresso in partita degli intermediari criminali attivi in Messico, un Paese con cui Pechino non ha mai stretto accordi nel contrasto dei traffici illegali. Oggi la Dea americana denuncia che i legami tra i produttori cinesi e due dei più aggressivi cartelli messicani, quello di Sinaloa e quello di Jalisco, sono divenuti strettissimi. La consegna utilizza in massima parte le onde dell’oceano Pacifico: ogni giorno pacchi e pacchi di materia prima vengono lanciati in acqua dai trafficanti cinesi, che li scaricano da un aereo o da un’imbarcazione in sacche impermeabili, dotate di localizzatori gps, che attendono – semisommerse e invisibili – di venire ripescate dai messicani.
I narcos pagano i produttori cinesi per lo più usando le criptovalute. Ma i soldi, come ha rivelato di recente al Congresso degli Stati Uniti Christopher Urben, per decenni tra i più abili segugi della Dea, corrono anche attraverso WeChat, l’applicazione cinese di messaggistica telefonica usata da un miliardo di abitanti della Repubblica popolare. «Ai trafficanti cinesi e messicani», ha rivelato Urben, «WeChat garantisce comunicazioni segrete e anche pagamenti coperti tra le due sponde del Pacifico». In effetti Tencent, la holding di Shenzen che controlla WeChat, nel 2012 ha dotato l’applicazione di un sistema di transazioni finanziarie che si chiama WeChatPay. E l’azienda molto difficilmente potrebbe collaborare con gli inquirenti americani. Per evitare anche il minimo rischio, comunque, nel gennaio 2023 il ministero dell’Economia di Pechino ha acquisito l’1 per cento delle azioni di Tencent e ha trasformato quella quota in una «golden share»: il colosso è in pratica una società di Stato, quindi è del tutto insensibile e impermebile a ogni pressione esterna, politica o giudiziaria. Ai deputati americani, Urben ha raccontato l’altro metodo di incasso adottato dai produttori cinesi di Fentanyl, che riesce ad aggirare le stesse norme che nella Repubblica popolare, dal 2015, limitano i flussi di denaro da e per l’estero.
I trafficanti hanno creato un sistema triangolare basato su «compensazioni» sommerse. Il denaro quasi non si muove tra Stati Uniti, Messico e Cina, perché i passaggi sono in maggior parte virtuali. Per pagare i produttori cinesi, infatti, i narcos non inviano dollari: li depositano in banca, in America e a volte in Europa, intestandoli a prestanome scelti dai cinesi. I produttori di Fentanyl quindi possono usare quel denaro in proprio, oppure «venderlo» (con una maggiorazione del 10-20 per cento) ai ricchi cinesi che vogliono spendere all’estero ma non possono far uscire capitali dalla Repubblica popolare. Il risultato è due volte negativo per Washington, in quanto regala profitti aggiuntivi ai produttori cinesi di Fentanyl e rende ancora più stretto il loro legame con i narcos. La Dea prevede tempi sempre più duri. Si vedrà presto se la promessa di Xi avrà qualche effetto. In cambio, intanto, il presidente cinese è già riuscito a incassare da Biden la revoca delle dure sanzioni americane per l’oppressione degli uiguri, l’etnia musulmana dello Xinjiang che da anni Pechino colpisce con eccidi, detenzioni arbitrarie di massa e lavori forzati. Perché la Cina non regala mai nulla. Nemmeno quando finge di comportarsi bene.
