Reo’s Ribs è una sorta di mito a Portland, «Bbq restaurant» si trova all’angolo tra la 42esima e Sandy Boulevard, cuore del quartiere di Hollywood, nel quadrante di nord-est della città dell’Oregon. Il suo menu di carne alla brace è considerato uno dei migliori dell’intero «Stato del castoro», grazie anche alla griglia «lunga come una Cadillac» su cui si possono cucinare contemporaneamente sino a 600 carré di costine.
Il proprietario, Reo Varnado, è un cittadino afroamericano, zio del famoso rapper Snoop Dogg. Negli anni ha avviato e gestito varie attività prima di trasferirsi a Portland, attratto dalla sua eccentrica cultura avanguardista e dall’alta densità di rinomate caffetterie, boutique, ristoranti a chilometro zero e piccoli birrifici.
Una scelta che con il tempo si è rivelata azzardata. A fine novembre il suo locale è stato teatro di un incendio che, secondo gli inquirenti, sembra doloso, anche perché è scoppiato nei giorni in cui diverse attività commerciali lungo il Northeast Sandy Boulevard sono state prese d’assalto durante le azioni violente delle frange più radicali di Black Lives Matter e degli attivisti di Antifa.








Varnado ha pagato il prezzo delle sue critiche proprio nei confronti degli episodi di vandalismo che hanno messo a ferro e fuoco il suo quartiere, come altri in città. Un atto criminale figlio della deriva delle proteste esplose a fine maggio dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis, episodio che ha dato fuoco alle polveri di un malessere covato da tempo ai quattro angoli del Paese.
Ma in alcune realtà come Portland le dimostrazioni contro il comportamento razzista di una certa polizia e le legittime manifestazioni per una giustizia più giusta hanno lasciato il passo ad azioni sempre più violente da parte degli estremisti di sinistra che hanno preso di mira negozi, bar, stazioni della polizia, tribunali, elettori di Donald Trump ma anche sostenitori di Joe Biden, per il solo fatto di essere bianchi.
Portland ha da tempo una tradizione protestataria, tanto che l’ex presidente George W. Bush all’inizio degli anni Novanta la soprannominò la «piccola Beirut». Nel 2016 i disordini iniziati dopo la vittoria di Trump hanno fatto riaffiorare vecchie tensioni in una città rifugio dei progressisti (ma a maggioranza di bianchi), e situata in uno Stato dove la presenza di gruppi dell’Alt Right, o comunque della destra più radicale, è piuttosto importante. E così da sei mesi Portland è ostaggio delle scorribande delle frange più radicali di Black Lives Matter e degli attivisti Antifa, alcuni dei quali si incarnano nella cultura dei Black Bloc, ben conosciuti in Europa. Un’attività incessante che ha portato anche alla creazione di una zona franca occupata chiamata Red House on Mississippi, che la polizia ha cercato per giorni di sgomberare senza successo.
Simile alla Capitol Hill Autonomous Zone (Chaz) di Seattle, l’occupazione della Casa Rossa si è estesa per circa tre isolati, attorno ai quali sono state piazzate trappole esplosive rudimentali e tappeti di chiodi per tenere lontani i veicoli della polizia, mentre all’interno sono state radunate scorte di armi e pile di sassi pronte per essere scagliate contro le forze dell’ordine.
L’area si trova su North Mississippi Avenue e si sviluppa attorno alla Red House, per 65 anni di proprietà dei Kinney, famiglia nera e indigena che sostiene di essere vittima di una persecuzione razzista. All’inizio del 2000 i Kinney hanno chiesto un prestito ipotecario, e nel 2018 Clear Recon Corporation ha avviato il processo di pignoramento della casa per mancato pagamento. A settembre il giudice ha autorizzato lo sfratto, dando il via a mesi di proteste culminate nella dichiarazione di «zona occupata».
Dal 1° settembre al 30 novembre sono state effettuate 81 chiamate al pronto intervento a causa di risse, colpi d’arma da fuoco, furti con scasso, atti vandalici e minacce da parte di persone armate, e nelle ultime settimane, quando la polizia è intervenuta per fare sgomberare l’abitazione, gli attivisti hanno risposto assalendo gli agenti con pietre e palloni pieni di vernice, tattica comune degli Antifa nella città dell’Oregon. Coya Crespin, della Community alliance of tenants, ha spiegato che l’obiettivo dell’occupazione non è solo la difesa della famiglia, ma anche la protesta contro la trasformazione del quartiere popolare in zona borghese: «Questa è un’oppressione sistemica».
Dopo la riluttanza a usare la forza, anche il tollerante (sin troppo) sindaco democratico Ted Wheeler ha autorizzato gli agenti a «ricorrere a tutti i mezzi leciti per porre fine all’occupazione illegale». Sgombero accompagnato da un accordo provvisorio tra la famiglia Kinney e i funzionari comunali per trovare una nuova sistemazione.
Ma chi sono gli Antifa americani? «Non è un’organizzazione, è un pensiero politico, sociale, rivoluzionario, in cui si rispecchiano individui e gruppi di diverso genere, comunisti, anarchici, socialisti, ambientalisti, antirazzisti e non solo», spiega Mark Bray, storico, antropologo e autore del libro Antifa: The Anti-Fascist Handbook. Il movimento è diventato noto ai più negli Usa dal 2016 con l’elezione di Trump e il ritrovato attivismo dei gruppi suprematisti e della Alt Right.
È un punto di riferimento di realtà composite che si contrappongono alla destra estrema, non accettano l’ordine costituito rappresentato dal capitalismo e rifiutano il concetto di Stato che trova espressione nelle forze di polizia e in una certa giustizia ordinaria. Non c’è quindi una leadership, un quartier generale o sedi, piuttosto si tratta di un marchio che riunisce vari gruppi.
Tra i più rilevanti c’è appunto quello di Portland, che risponde al nome di Rose City Antifa, inaugurato nel 2007 quando gli attivisti scesero in piazza mascherati. Presero il nome di «clown bloc», mutuando i più navigati «black bloc» della protesta di Seattle del 1999.
Il movimento ha acquisito maggiore visibilità in America dopo una serie di eventi come lo scontro con manifestanti nazionalisti bianchi a Charlottesville, in Virginia, nell’agosto 2017. A differenza degli Antifa europei, quelli americani si basano su aggregazioni spontanee e di quartiere, meno strutturate e addestrate, spesso polo di aggregazione di comunità povere e frustrate. Provvedono alla sussistenza attraverso l’autofinanziamento, l’International Antifascist Defense Fund, e sostenitori che effettuano donazioni soprattutto per sostenere le spese legali. «Il ricorso alla violenza è uno strumento di protesta contemplato. Le proteste pacifiche non hanno portato a nessun risultato, specie sulla riforma della polizia» spiega Bray.
Le scorribande di Antifa e di Blm a Portland sono anche frutto della riluttanza del sindaco a prendere provvedimenti urgenti. Il primo cittadino ha trascorso l’estate a tentare di placare gli attivisti più radicali, piuttosto che far capire che rivolte e attacchi contro le forze dell’ordine non sarebbero stati tollerati. Invece di condannare la violenza ha puntato l’indice contro Trump, colpevole a suo dire di alimentarla. Allo stesso tempo, il procuratore distrettuale della contea di Multnomah, Mike Schmidt, ha annunciato che non avrebbe incriminato la maggior parte degli arrestati legati alle proteste: solo a ottobre ha rifiutato di perseguire il 70 per cento dei fermi, che includono accuse di sommossa, furto con scasso e uso illegale di armi.
Della vicenda a livello nazionale non se ne parla e nella futura amministrazione Biden non si è ancora affrontato il problema sicurezza in alcune realtà del Paese – quali Portland – creato da frange radicali dei movimenti di sinistra. Gli stessi sostenuti, o quanto meno tollerati, da alcuni politici dem che hanno contribuito al successo di Biden e quindi «azionisti» della stessa amministrazione. Il rischio è che in assenza di una soluzione da parte di Washington la città dell’Oregon si trasformi in un vero campo di battaglia, dove a fronteggiare Antifa e Blm potrebbero essere le formazioni della destra estrema e le milizie che proliferano nel resto dello Stato a maggioranza bianca, a partire da quei Proud Boys e Patriot Prayer che hanno giurato fedeltà a Trump. E a farne le spese saranno i piccoli imprenditori e i cittadini comuni, non importa di che colore abbiano la pelle o quale sia la loro appartenenza politica, proprio come accaduto a Reo Vornado.
