Home » Attualità » Cronaca » Caf abusivo faceva incetta di clandestini

Caf abusivo faceva incetta di clandestini

Caf abusivo faceva incetta di clandestini

In provincia di Napoli una maxi frode permetteva di regolarizzare migliaia di stranieri attraverso finte domande di assunzione durante il Click day. Clonati timbri comunali e carte di identità. Coinvolte centinaia di aziende, che però erano all’oscuro di tutto

C’è un luogo, nel cuore della provincia di Napoli, tra Palma Campania, Carbonara di Nola e Brusciano, nel quale i timbri di alcune amministrazioni comunali erano stati clonati, come le firme dei professionisti e i documenti d’identità. Anche la documentazione delle aziende sembrava in regola. Peccato che le quasi 500 società agricole, zootecniche ed edili, 24 quelle toscane, che avevano ufficialmente chiesto di regolarizzare lavoratori stagionali extracomunitari durante il Click day (la giornata in cui il portale del Decreto Flussi apre le domande in tutta Italia) erano all’oscuro di tutto. Dal Caf abusivo partenopeo erano partite migliaia di domande per portare in Italia nordafricani, indiani e asiatici (disposti a pagare per un posto fittizio da bracciante o manovale), tramite il portale ministeriale. Un’officina del falso, dove il decreto Flussi (lo strumento che dovrebbe regolare in modo trasparente l’ingresso di manodopera straniera) veniva svuotato, manipolato, abusato. Un sistema che ora ha un nome, cinque volti, e un faldone pesantissimo all’attenzione della Procura di Livorno, che ieri mattina ha coordinato l’esecuzione di cinque misure cautelari agli arresti domiciliari

I carabinieri del Comando provinciale di Livorno, con il supporto del Nucleo ispettorato del lavoro e delle compagnie territoriali, hanno eseguito l’ordinanza firmata dal gip. Le accuse: favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina, sostituzione di persona e falsità materiale. L’inchiesta, partita nel giugno 2024, è una delle più complesse condotte negli ultimi anni sul fronte della frode documentale legata alla regolarizzazione degli stranieri. Tutto è cominciato da una segnalazione della Prefettura di Livorno. Un’anomalia: troppe domande di regolarizzazione da parte di aziende locali, molte delle quali insospettabili, tutte concentrate in pochi click (proprio come aveva denunciato un anno fa il presidente del Consiglio Giorgia Meloni al capo della Procura nazionale antimafia Giovanni Melillo). Poi, il sospetto: accessi al portale ministeriale in orari e modalità incompatibili con la normale operatività. Infine, l’intuizione investigativa. Intercettazioni, monitoraggi informatici e accessi ai registri digitali hanno cominciato a portare verso un’unica direzione. Seguendo Spid e firme digitali sono saltati fuori i cinque del Caf illegale, «con ruoli ben definiti», affermano gli inquirenti. Avevano tutto il necessario per far sembrare vero ciò che non lo era: assunzioni mai avvenute, datori di lavoro ignari, aziende che si trovavano formalmente a regolarizzare stranieri senza mai averli visti.

Durante una perquisizione, eseguita nel novembre 2024, in coincidenza con un Click day, i carabinieri hanno bloccato una valanga di istanze fittizie. Sequestrati pc, hard disk, pen drive, cellulari, oltre a centinaia di documenti di identità falsificati e digitalizzati (per un totale di 17 terabyte di dati). I numeri dell’operazione sono da maxi frode: centinaia di aziende coinvolte solo inconsapevolmente, 24 delle quali con sede nel Livornese, migliaia di pratiche prodotte in modo artefatto, decine di migliaia quelle potenziali, pronte per essere caricate sul portale ministeriale grazie all’accesso indebito agli account delle imprese. In pratica, un sistema parallelo di gestione del decreto Flussi, fuori da ogni controllo.

«Profondo e convinto apprezzamento» è stato espresso dal prefetto di Livorno, Giancarlo Dionisi, che ha parlato apertamente di «un risultato investigativo di assoluto rilievo». «Questa indagine», ha detto il prefetto, «è frutto di una sinergia efficace tra Prefettura e forze dell’ordine oltre che la dimostrazione di come il presidio costante e qualificato del territorio, unito a una visione preventiva e all’azione di intelligence amministrativa svolta dalla Prefettura, costituisca uno strumento fondamentale per intercettare fenomeni insidiosi e tutelare i diritti dei cittadini, delle imprese oneste e dei lavoratori regolari».

Il danno? Incalcolabile. Soprattutto per chi attende legittimamente di essere assunto in Italia. Secondo la ricostruzione investigativa, i cinque indagati, «con ruoli attivi nella predisposizione e nel caricamento delle domande», avrebbero costruito una vera filiera dell’illegalità: c’erano specialisti nella falsificazione di documenti, tecnici informatici in grado di aggirare i filtri del portale, consulenti «ombra» capaci di intercettare imprenditori inconsapevoli per carpirne firme e dati aziendali. L’idea era quella di sfruttare le difficoltà di controllo da parte delle Prefetture destinatarie delle numerosissime richieste pervenute nei periodi del Click day. «Il gruppo puntava su una scappatoia nel sistema», ha spiegato il comandante provinciale dell’Arma a Livorno Piercarmine Sica, «poiché una volta decorso il termine previsto, l’istanza passava grazie al silenzio assenso. A quel punto era poi possibile richiedere il visto lavorativo per arrivare in Italia».

La zona ancora inesplorata dell’inchiesta riguarda un libro mastro: durante le perquisizioni sono saltati fuori degli appunti da interpretare. Nessun titolo. Pagine fitte. Righe che riporterebbero nomi di battesimo, cifre, riferimenti a contatti. Annotazioni criptiche accanto a sigle e iniziali. Ma soprattutto numeri. Quelli che servono a capire quanto denaro girava in quel sistema parallelo. C’erano riferimenti ad anticipi effettuati o a somme ancora da versare. I funzionari del Caf abusivo, è l’ipotesi dell’accusa, si sarebbero mossi dietro compenso.

© Riproduzione Riservata