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Lo stato confisca i beni alla criminalità per poi sprecarli

Lo  stato  confisca i  beni  alla  criminalità per  poi  sprecarli

Troppo spesso, a causa di ritardi burocratici o blocco nei lavori, moltissimi immobili sequestrati alle mafie (tra cui splendide ville) finiscono in abbandono. E mentre tante aste per la locazione vanno deserte, possono passare anche dieci anni tra il sequestro di una proprietà e il suo riutilizzo…


Via dei Pescatori, Castel Gandolfo. Lungo uno dei tratti più panoramici che costeggia il lago Albano a circa 30 minuti da Roma, si trova una bellissima villa immersa in un parco di oltre due ettari. Un luogo suggestivo tanto che ancora adesso viene chiamato «il castelletto» perché assomiglia – ça va sans dire – a un piccolo maniero con tanto di merlettatura su una delle torri. E forse, per come vanno spesso le cose in Italia, non stupisce che la villa sia finita nelle mani di Enrico Nicoletti, considerato il cassiere della Banda della Magliana, morto nel 2020.

Bisogna aspettare gli anni Novanta quando finalmente gli investigatori irrompono e l’immobile viene sequestrato. A distanza di 25 anni circa da allora, però, è difficile dire se a vincere sia stato realmente lo Stato: l’immobile, a causa di una sequela di ritardi burocratici e del sorgere di problematiche nei lavori, non è mai stato riutilizzato. Le erbacce e l’incuria intanto sono cresciute. E oggi del «castelletto» è rimasto solo il nome. Eppure nella lotta alle criminalità organizzate il riutilizzo dei beni sequestrati e confiscati dovrebbe essere il primo tassello. Invece, esattamente come accaduto alla ex dimora di Nicoletti, non sempre si riesce a trovare un nuovo impiego per gli immobili. Lo dice chiaramente la stessa Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati e Sequestrati (Anbsc) nella sua ultima relazione (2021): su 19.225 cespiti gestiti dallo Stato, 6.486 sono in attesa di nuova assegnazione.

A conti fatti, un immobile su tre non trova destinazione. E c’è da dire che l’Agenzia, oggi guidata dal prefetto Bruno Corda, ha fatto un grosso passo in avanti rispetto al passato, quando i numeri erano ancora peggiori. Il problema, però, come si legge nella corposa relazione consegnata in Parlamento, è che spesso ricorrono condizioni che la stessa Anbsc definisce di «non attrattività». Parliamo, cioè, del cattivo stato di manutenzione degli edifici, o della presenza di abusi cui ovviamente il pubblico deve mettere mano investendo dei soldi che, invece, preferisce risparmiare. Senza dimenticare un altro aspetto: a soffrire maggiormente sono gli immobili in periferia rispetto a quelli in centro città. Ma non è sempre così.

Un esempio? Un trilocale a due passi dalla sede dell’università Luiss, a Roma: la procedura per la locazione dell’abitazione è stata disertata per ben due volte. E anche in questo caso, tuttavia, non c’è da sorprendersi: la quantità di aste a vuoto non è di poco conto. L’ultima risale al 15 dicembre 2022: alla vendita all’incanto di un immobile in provincia di Siracusa, messo in vendita a partire da 40 mila euro, non si è presentato nessuno. Certo non aiuta l’iter da seguire prima di arrivare a una confisca vera e propria. I beni sequestrati risultano essere a oggi oltre 230 mila; di questi il 40 per cento viene dissequestrato alla fine dei procedimenti giudiziari e restituito ai proprietari. I beni, mobili o immobili, vengono confiscati quando l’imputato è condannato in via definitiva: solo allora passano davvero sotto il controllo dello Stato nelle sue diverse articolazioni o agli enti locali, che a loro volta possono metterlo in vendita o farlo gestire a una realtà del terzo settore. Ecco perché, spesso, dal sequestro al riutilizzo effettivo possono trascorrere anche dieci anni. E nel frattempo l’appartamento, la villa, il palazzo vanno in malora. E metterci mano finisce col costare troppo all’ente che se ne dovrebbe occupare.

Nell’elenco del patrimonio disponibile del Comune di Reggio Calabria, tanto per fare un altro esempio, c’è un immobile al civico 79 sul lungomare della città, uno dei tratti più affascinanti del Mezzogiorno. L’appartamento era di proprietà di un affiliato alla ’ndrangheta. Oggi, dopo anni di mancato riutilizzo, cade letteralmente a pezzi. Uno dei problemi, a detta delle associazioni antimafia, ruota attorno anche alla mancanza di trasparenza. Secondo uno studio condotto da Libera, su 1.076 Comuni monitorati destinatari di beni immobili confiscati, 670 non pubblicano l’elenco sul loro sito internet. In pratica, il 62 per cento delle amministrazioni è totalmente inadempiente, nonostante la legge imporrebbe la comunicazione degli elenchi. Un fallimento a cui non si riesce a far fronte neanche quando di mezzo ci sono le stesse forze dell’ordine. Scendiamo in Sicilia, a Trapani, nella terra che fu, almeno fino a qualche mese fa, di controllo di Matteo Messina Denaro. Qui si trova il resort Torre Xiare confiscato a Tommaso «Masino» Coppola, ritenuto vicinissimo proprio a U Siccu. L’immobile è stato riadattato nel 2014 per ospitare i poliziotti.

Alla scadenza del contratto, nel 2019, gli agenti sono stati mandati via e la struttura vista mare, con piscina e comfort da hotel di prestigio, è stata abbandonata. Ancora: a Torre Annunziata, in Campania, sorge Palazzo Fienga, vero e proprio simbolo della camorra e roccaforte del clan Gionta. Dopo essere stato sequestrato, confiscato, infine abbandonato, oggi che è persino «a rischio crollo» resta in attesa della riqualificazione per diventare sede degli uffici di Polizia. Nel frattempo, solo pochi mesi fa, all’interno sono state trovate ancora armi e munizioni appartenenti ai Gionta.

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