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Assalto a “La Stampa”: escalation propalestinese e proteste in tutta Italia

Assalto a “La Stampa”: escalation propalestinese e proteste in tutta Italia

Una frangia radicale filopalestinese devasta la sede torinese del quotidiano mentre in tutta Italia crescono scioperi e cortei, con figure internazionali come Greta Thunberg, Francesca Albanese e Yanis Varoufakis in piazza a Genova. Chi paga tutto questo?

Nel primo pomeriggio dello scorso 28 novembre, intorno alle 14.00 una frangia radicale composta da circa un centinaio di manifestanti ha fatto irruzione nella sede torinese de «La Stampa», in via Lugaro. L’edificio, completamente vuoto perché i giornalisti avevano aderito allo sciopero nazionale indetto per il rinnovo del contratto, è diventato il bersaglio di un gruppo staccatosi dal corteo dello sciopero generale che attraversava la città. La componente più aggressiva si è avventata sull’ingresso come in un’azione d’assalto, urlando «Free Palestine» e «Giornalisti complici dell’arresto di Mohamed Shahin», imam torinese colpito nei giorni precedenti da un provvedimento di espulsione per gravi motivi di sicurezza nazionale. Una volta dentro, i partecipanti hanno imbrattato muri e porte con vernice spray, rovesciato pile di quotidiani e libri, e lanciato letame contro i cancelli. Alcuni, con il volto coperto, hanno rivolto minacce dirette ai cronisti: «Giornalista terrorista, sei il primo della lista» e «Giornalista, ti uccido». Evidente come l’operazione sia stata pianificata nei giorni precedenti. Al termine dell’intervento delle forze dell’ordine, la Polizia di Torino ha identificato e denunciato trentaquattro persone.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inviato un messaggio di solidarietà al direttore Andrea Malaguti e a tutta la redazione, storicamente non ostile alle posizioni filopalestinesi. Il Capo dello Stato ha espresso vicinanza e condannato con fermezza la violenta incursione nella sede del quotidiano. Anche il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato al direttore per manifestare sostegno, definendo l’episodio «gravissimo» e sottolineando la necessità di «una risposta unitaria» contro ogni forma di intimidazione verso la stampa. «La libertà di informazione è un bene prezioso da difendere giorno per giorno», ha ricordato.

La tensione va però inserita in un quadro più ampio: negli stessi giorni si sono svolte manifestazioni pro-Palestina e scioperi in diverse città italiane, da Milano a Roma, da Bologna a Firenze, fino a Genova. Proprio ieri, nel capoluogo ligure, sono scesi in piazza figure di primo piano dell’attivismo internazionale come Greta Thunberg, la relatrice ONU Francesca Albanese, l’ex ministro greco Yanis Varoufakis, e membri della Flotilla, tra cui il brasiliano Thiago Avila. Una convergenza che conferma come la mobilitazione filopalestinese abbia assunto una dimensione nazionale e transnazionale, con la partecipazione di reti politiche, movimenti climatici, esponenti dell’ultrasinistra europea e attivisti legati ai convogli navali diretti verso Gaza. A peggiorare quanto accaduto Francesca Albanese, intervenuta all’evento «Rebuild Justice» promosso dal Global Movement to Gaza all’Università Roma Tre, ha definito «da condannare» l’irruzione compiuta da un gruppo di manifestanti nella redazione torinese de La Stampa. La stessa Albanese ha auspicato che «sia fatta giustizia per quanto accaduto alla redazione». Fin qui, dichiarazioni perfettamente coerenti con la necessità di tutelare la libertà di stampa. Subito dopo, però, la relatrice ha aggiunto che quell’azione violenta dovrebbe essere letta come «un monito alla stampa», affinché — a suo giudizio — «torni a svolgere il proprio ruolo, rimettendo i fatti al centro». Il risultato è un evidente paradosso: una condanna accompagnata da una sorta di giustificazione politica e una minaccia non troppo velata. La ricostruzione proposta da Albanese contiene infatti una contraddizione lampante: da un lato stigmatizza la violenza; dall’altro attribuisce a un’irruzione illegale e intimidatoria il valore di un segnale rivolto ai giornalisti. Un cortocircuito logico caro alla narrazione dei Fratelli musulmani, che finisce per svuotare di senso la censura iniziale, perché un atto criminale non può essere trasformato in un messaggio legittimo o “utile”.

Secondo vari analisti, l’Italia — e Torino in particolare — è diventata un punto sensibile nella strategia comunicativa e di piazza riconducibile a Hamas. È uno dei pochi Paesi europei dove sono stati proclamati scioperi esplicitamente “a difesa della Palestina” e l’unico in cui la sede di un giornale è stata fisicamente assaltata. Una dinamica che evidenzia la saldatura sempre più stretta tra attivisti propal, settori dell’estrema sinistra, gruppi anarchici e la regia politica di Hamas, impegnati a orientare manifestazioni e iniziative verso un progetto destabilizzante e potenzialmente eversivo e qui sarebbe interessante sapere: chi paga tutto questo? Viaggi, hotel, pranzi e cene, bandiere, ecc, ecc. Chi li paga dato che protestare costa? A complicare ulteriormente il quadro c’è l’atteggiamento, talvolta ambiguo, di alcune realtà del mondo cattolico che continuano a strizzare l’occhio a predicatori radicali e nuclei più intransigenti dell’area filopalestinese, contribuendo — consapevolmente o meno — a normalizzare discorsi incendiari e a polarizzare ulteriormente il dibattito pubblico.

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