Il piccolo regno himalayano è il nuovo oggetto del contendere tra Pechino e New Delhi.
Storicamente Pechino avanzava pretese esclusivamente su territori centrali e occidentali del Bhutan: dall’estate scorsa, ha invece esteso tali pretese anche a porzioni orientali, a partire dal parco naturale del Sakteng. La Repubblica Popolare ne ha tra l’altro approfittato per intimare (pur indirettamente) all’India di non intromettersi nella questione, mentre il Bhutan ha respinto le tesi cinesi, sottolineando che il Sakteng non sia mai stata un’area contesa tra i due Stati. In particolare, lo storico bhutanese, Karma Phuntsho, ha dichiarato: «Il parco nazionale di Sakteng non è mai stato un’area contesa ed è sempre stato sotto il controllo bhutanese. Non ci sono prove di alcuna affiliazione [di quella regione] alla Cina».
Al di là delle posizioni in campo, le nuove pretese della Cina aprono scenari preoccupanti, non solo per il Bhutan ma – soprattutto – per quanto riguarda il quadro sempre più teso delle complicate relazioni tra Pechino e Nuova Delhi. Sotto questo aspetto, non va infatti assolutamente trascurato che la rivendicazione del Sakteng abbia un significato strategico-militare di notevole importanza per il Dragone: quel territorio si colloca infatti in prossimità dello Stato indiano dell’Arunachal Pradesh. Si tratta di un’area, quest’ultima, che l’India considera fondamentale per difendersi sul versante nordorientale.
Un’area che, qualora dovesse essere occupata dalla Repubblica Popolare, renderebbe Nuova Delhi estremamente vulnerabile sul piano militare. È d’altronde in questo contesto che, lo scorso luglio, l’India ha rilanciato l’intenzione di realizzare una strada che colleghi Guwahati a Tawang passando attraverso il Sakteng: una strada che, non a caso, avrebbe come principale obiettivo quello di rendere più rapido un eventuale spostamento di truppe indiane verso Nordest. Il che – è abbastanza chiaro – nasce da preoccupazioni legate alle crescenti pretese cinesi avanzate sul Bhutan.
Le tensioni tra Thimphu e Pechino sono d’altronde riemerse lo scorso autunno, quando alcune immagini satellitari sembrarono mostrare che i cinesi stessero costruendo un villaggio due chilometri all’interno del confine del Bhutan: una circostanza che è tuttavia stata smentita dall’ambasciatore bhutanese in India, Vetsop Namgyel. «Non esiste un villaggio cinese all’interno del Bhutan» ha dichiarato il diplomatico a novembre. Va da sé che questi attriti non facciano che rinsaldare i legami del piccolo regno con l’India.
Legami che tra l’altro risultano storicamente forti. I due Stati intrattengono connessioni in materia di sicurezza nazionale e di sanità (soprattutto da quando è iniziata la pandemia di Covid-19). Tra l’altro, va anche ricordato che – nonostante i colloqui con i cinesi che durano da anni sulle dispute di natura territoriale – il Bhutan non intrattiene relazioni diplomatiche ufficiali con Pechino e ha in buona sostanza evitato negli scorsi anni di farsi coinvolgere nella Belt and Road Initiative. L’India, dal canto suo, vede in Thimphu un alleato per arginare l’influenza cinese nella regione: è d’altronde questo il senso principale della cosiddetta Neighbourhood First policy del primo ministro indiano, Narendra Modi. Senza poi dimenticare che Nuova Delhi invia al Bhutan considerevoli aiuti esteri.
Ciò detto, bisogna comunque fare attenzione. Perché, secondo alcuni analisti, le (pur salde) relazioni tra i due Stati sarebbero parzialmente attraversate da alcune crepe. L’ex ambasciatore indiano, Phunchok Stobdan, ha per esempio parlato di ufficiose cessioni territoriali bhutanesi a favore della Repubblica Popolare, oltre a una linea meno agguerrita sui confini con la Cina. Tutto questo, senza trascurare che – secondo quanto riferito da The Diplomat – l’opinione pubblica bhutanese non nutre oggi sentimenti troppo amichevoli verso Nuova Delhi: il piccolo regno si trova in difficoltà economiche, in parte anche dovute al debito contratto con l’India.
Si riscontra inoltre un elevato tasso di disoccupazione giovanile, che sta rendendo la Cina attrattiva sia sul piano delle offerte di lavoro che delle possibilità di carriera accademica. Si tratta di una leva ascrivibile al «soft power» di cui Pechino ben difficilmente non può essere consapevole. Attenzione: questo non significa che Thimphu si sposterà nettamente a favore della Cina nel prossimo futuro. Tuttavia, come visto, le relazioni con l’India non risultano scevre da problematicità. E comunque il Bhutan sembra non intenzionato per ora a dover ridurre la sua scelta di campo geopolitica alla dicotomia India-Cina. Il piccolo regno sta intatti stringendo rapporti più stretti con altri Paesi, come la Germania, il Bangladesh e il Giappone. Un tentativo di diversificazione sul piano delle relazioni geopolitiche che comunque non potrà non scontrarsi con la dura realtà: soprattutto qualora, nel prossimo futuro, le tensioni tra Pechino e Nuova Delhi dovessero riprendere a crescere.
