Secondo una ricerca lo Stretto di Messina ha lo sconfortante record di fondale con la maggior quantità di oggetti per metro quadrato. La responsabilità di questo «immondezzaio»? Della popolazione che non rispetta il mare.
Nel suo lento declino, il nostro Paese ha recentemente segnato alcuni primati negativi in campo ambientale. Avevamo appena appreso che Brescia è la prima città europea per tasso di decessi da polveri sottili, Milano la quinta per le morti da diossido di azoto e la Pianura padana la peggiore area europea per rischio di mortalità da sostanze inquinanti.
Ora veniamo a sapere di un primato ancora più sconfortante: siamo i primi al mondo per inquinamento dei fondali marini. Il «merito» va tutto allo Stretto di Messina che, secondo una meta-ricerca pubblicata su Environmental Research Letters, avrebbe la maggiore quantità di oggetti per chilometro quadrato depositati sul fondo. Per intenderci, stiamo parlando di lavatrici, lavastoviglie, carrelli della spesa, giocattoli, attrezzature da pesca, pneumatici, cucine, pentole e molti altri rifiuti in plastica e metallo.
Se le Maldive sono conosciute in tutto il mondo per i pesci di barriera, le tartarughe, i coralli, le spugne e altre meraviglie sottomarine, l’Italia lo sta diventando per la varietà di immondizia delle sue profondità marine. Basta immergersi poco più in là dello Stretto, verso Capo d’Orlando, per vedere addirittura un’auto adagiata sul fondale, a 510 metri.
Uno degli autori dello studio, Miquel Canals, a capo del gruppo di Scienze marine dell’Università di Barcellona, dice che i rifiuti solidi sotto l’acqua «sono molto più abbondanti nella parte vicina alle coste siciliane, segno di un legame diretto tra la densità della popolazione e l’ammontare del degrado». La responsabilità della popolazione è dunque un fattore decisivo, in aggiunta a meccanismi di trasporto naturali che portano oggetti pesanti verso fondali più profondi.
Canals e i suoi colleghi hanno raccolto informazioni dagli studi effettuati nelle diverse zone del mondo e li hanno confrontati. Quelle riguardanti lo Stretto di Messina provenivano da un’analisi di tre ricercatori italiani, Martina Pierdomenico del Cnr e Daniele Casalbore e Francesco Chiocci della Sapienza di Roma, apparso su Nature. « La presenza di queste grandi quantità di rifiuti sul fondale ha diverse conseguenze» dice Canals. «Prima di tutto, copre il fondale causando la sparizione totale degli organismi che vi vivono e dunque la perdita della loro produttività e dei servizi forniti all’ambiente».
C’è poi un ulteriore problema: «I rifiuti sottomarini sono una potenziale sorgente di microinquinanti che hanno un impatto sugli organismi della colonna d’acqua sovrastante, perfino a grandi distanze. Non si è mai visto nella storia umana un danno ai fondali di questo genere». Il fenomeno si aggiunge in molte zone del mondo ai disastri causati dalla pesca a strascico. «Ripulire del tutto i fondali è di fatto impossibile» sostiene Canals. «Le operazioni di pulizia dovrebbero essere valutate caso per caso, visto che potrebbero causare molto più danno della permanenza stessa dei rifiuti. Ciò che si dovrebbe fare è migliorare la gestione dei rifiuti nelle coste limitrofe e aumentare la consapevolezza nei cittadini e nei turisti».
In Ventimila leghe sotto i mari, lo scrittore francese Jules Verne descrisse con queste parole lo stupore di uno dei protagonisti, il professor Pierre Aronnax, alla prima battuta di caccia nel fondo del mare: «I raggi solari colpivano la superficie dell’acqua con una angolazione molto obliqua e, al contatto della luce scomposta dalle rifrazioni, i fiori, le rocce, le piante, le conchiglie e i polipi assumevano nel contorno tutte le sfumature dei sette colori dell’iride. Come in un prisma. Era un godimento per gli occhi quell’accavallarsi di colori, un vero caleidoscopio di verde, giallo, arancio, violetto, indaco e blu».
Oggi, chi si aggirasse nelle profondità dello Stretto di Messina vedrebbe una distesa di sacchetti di plastica impressionante, tanto da rappresentare globalmente il 52 per cento dei rifiuti. E poi plastica dura (26,1 per cento), oggetti metallici (2,5 per cento), tessuti (2,4 per cento), pneumatici (1,8 per cento) oltre a legno, carta, vetro e altri materiali non identificati.
Su scala planetaria, i fondali stanno progressivamente accumulando rifiuti che si spostano con le correnti lungo valli e canyon sottomarini. In diverse zone geografiche del Pianeta sono stati identificati punti di accumulo paragonabili per la loro quantità a discariche; la plastica ha raggiunto perfino i punti più inaccessibili della fossa delle Marianne, la più profonda depressione oceanica. Nel mar Mediterraneo il fenomeno è grave anche nelle coste catalane dove una forte tempesta nel gennaio 2020 ha trascinato gran parte dell’immondizia sulle spiagge, coprendole letteralmente per molti chilometri.
Il fenomeno dell’abbandono dei rifiuti ingombranti è ancora più serio sulla terraferma, in particolare lungo i fiumi, che li trasportano al mare. Nonostante i ritiri gratuiti da parte delle aziende di servizi ambientali locali, troppe persone buttano via in questo modo vecchi mobili, elettrodomestici, copertoni e altri oggetti in disuso intorno alle città. A Milano la situazione è particolarmente grave nella zona sud del Municipio 5, nelle campagne intorno ai quartieri di Chiaravalle e Vaiano Valle. A Roma cataste di materassi e mobili in disuso sono state scaricate perfino a ridosso del cimitero Flaminio, e i rifiuti riversati nel Tevere sono destinati a finire in mare. A differenza che nell’acqua, sulla terraferma si possono piazzare foto-trappole, ancora troppo poche tuttavia per l’entità del problema. Il Comune di Milano nel 2020 ha effettuato 231 accertamenti per abbandono illecito, che non hanno risolto la situazione.
Gettare rifiuti in strada è punito con una sanzione dai 25 ai 99 euro, per il deposito da un’auto in sosta o in movimento la sanzione può raggiungere al massimo 422 euro. Solo il deposito di rifiuti da enti e imprese viene punito in maniera più severa (fino a 26 mila euro, il doppio in caso di rifiuti pericolosi). In molti casi, per prelevare i rifiuti ingombranti la Polizia municipale deve bloccare intere strade mentre le società servizi ambientali lavorano con ruspe e altri mezzi pesanti. Così, a Guidonia, nella città metropolitana di Roma, il sindaco ha emesso un’ordinanza per obbligare una ditta a pagare anche le spese di bonifica, dopo che aveva insozzato un’intera area.
Il problema del mare è invece di più difficile soluzione, anche perché scoperto da poco. Se prima temevamo che il pesce spada dello Stretto di Messina fosse contaminato dal mercurio, adesso abbiamo la certezza che nuota sopra una discarica di immondizia.
