Tra Roma e Battipaglia ci sono di mezzo 286 chilometri e circa tre ore d’automobile. Se invece prendi il treno è probabile che faccia ritardo. Distanza relativa in termini convenzionali.
Sul piano psicologico può diventare invece un viaggio nel tempo e nello spazio di estensione e durata variabili, a seconda, diciamo così, della crisi che provoca.
Di sicuro, quella che attraversa il giovane Libero (Roberto Caccioppoli) protagonista di Acqua di marzo (in sala dal 20 aprile), è profonda e probabilmente decisiva. La racconta un regista, Ciro De Caro, che quattro anni fa s’era fatto notare, eccome, con Spaghetti Story, film a minibudget capace con pochi spiccioli di farsi largo al botteghino e tra gli spettatori con la sua vitale e singolare testimonianza sul precariato generazionale d’Italia.

Libero (Roberto Caccioppoli) e Neve (Rossella D’Andrea) in una scena di “Acqua di marzo”

Claudia Vismara nel personaggio di Francesca

Il regista Ciro De Caro tornato dietro alla macchina da presa dopo il successo di “Spaghetti Story”

Un confronto drammatico che la dice lunga sulla crisi tra Libero (Roberto Caccioppoli) e la sua fidanzata Francesca (Claudia Vismara)
Tra commedia e realismo per nulla compassionevole. Sono più o meno gli stessi modi narrativi che De Caro, non a caso vissuto tra Roma (dov’è nato) e Battipaglia (dov’è cresciuto) rimette in circolo nel suo secondo film dove appunto Libero, lasciandosi dietro una controversa relazione romana e sentimentale con Francesca (Claudia Vismara) torna nella sua città campana richiamato in famiglia per un ultimo saluto alla nonna morente.
Tra revival e iniziazione
Il ragazzo è in crisi, non c’è che dire. Smarrito, indeciso, sospeso.
Terreno fertile, insomma, per uno strano revival natìo dove quel viaggio, che inevitabilmente tende a ridestare ricordi non sempre piacevoli – inclusi un rapporto appiccicoso ma conflittuale coi genitori (nelle loro parti Nicola Di Pinto e Anita Zagaria) o l’insofferenza per il pressapochismo del parroco Gianni (Gianni D’Andrea) – assume per contrasto e paradossalmente una connotazione iniziatica.
Perché colà, nella patria delle mozzarelle, Libero trova nella freschezza di Neve (Rossella D’Andrea anche co-sceneggiatrice insieme con De Caro e Enrico Settimi), compagna di scuola d’una volta, stimoli di riflessione, crescita e maturazione anche affettiva. Una realizzazione che passa anche attraverso episodi e stati d’animo non banali, nello scontro perenne tra innovazione e arcaismi, rifiuto della passività vegetativa, rottura definitiva con una vita anteriore difficile e divisa da considerarsi, oramai, “scaduta”.
Quella storia “frazionata”
Dopo l’inverno, dunque, c’è l’acqua(zzone) di marzo, la pioggia primaverile che induce rigenerazioni o addirittura metamorfosi. La bella fotografia di Simone Zampagni, fatta di luci, contrasti e penombre accompagna una rappresentazione poggiata sul distanziamento e sull’oggettività dei rapporti nonostante lo stretto intreccio di figure e caratteri. Un segno stilistico fiancheggiato e in qualche modo assecondato da un montaggio quasi sincopato che nella sua strategica alternanza di intervalli e situazioni fraziona una storia teoricamente lineare in tasselli geo-temporali di luoghi e momenti diversi: incrociando flashback e forward, incastri ed ellissi, realtà e – forse – evasione visionaria.
Alla ricerca dell’equilibrio
Non sempre, va detto, il gioco e un certo virtuosismo di regia riescono a sostenere il film con i giusti e meditati equilibri. A volte, proprio nella insistita ricerca della segmentazione, il racconto rischia di far perdere le sue tracce nell’inseguimento di un presente narrativo difficile da isolare e interpretare. Sempre, beninteso, che ci sia.
A fronte di una ricerca di linguaggio tanto studiata da dare, a tratti, la sensazione di essere perfino un po’ artificiosa, la recitazione e il dialogo vengono impostati in modo più tradizionale: probabilmente nell’intento di offrire agli attori l’occasione di esprimersi al meglio e mostrare le loro qualità. Un sistema di matrice teatrale che tende spesso a privilegiare assolo e monologhi concessi, a turno, ai diversi personaggi.
