A riecheggiare continuano a essere piuttosto le parole del ministro degli Esteri yemenita, Riyadh Yassin, espressione del governo deposto del presidente Abdrabbuh Mansour Hadi, attualmente in esilio a Riad. “Ogni sforzo di mediazione proveniente dall’Iran – ha affermato Yassin – è inaccettabile perché l’Iran è direttamente coinvolto in questa guerra. Gli Houthi e le milizie di Saleh (l’ex presidente yemenita costretto alle dimissioni nel 2012 dalle rivolte popolari, ndr) devono ritirarsi da tutte le città e dai villaggi dello Yemen, tornare alla loro roccaforte settentrionale di Saada e deporre le armi”.
La situazione in Yemen resta dunque instabile. Da quattro settimane le aree finite sotto il controllo degli Houthi, che comprendono anche la capitale Sanaa e la città portuale meridionale di Aden, sono sotto i bombardamenti della coalizione che finora ha effettuato più di 2.000 raid aerei senza però riuscire a costringere alla resa i ribelli. Ieri a Sanaa è stato colpito un deposito di missili. L’esplosione ha causato 28 morti e più di 300 feriti. Mentre secondo le ultime stime fornite dall’ONU, il conflitto ha finora causato più di 730 morti, oltre 2.700 feriti e 150.000 sfollati.
Ad approfittare di questa crisi umanitaria in questo momento è soprattutto AQAP (Al Qaeda nella Penisola Arabica). Gli Stati Uniti hanno comunicato di aver ucciso con un attacco drone cinque sospetti militanti a Saeed, nella provincia di Shabwa. Ma i qaedisti non sembrano avere di fronte particolari ostacoli e già si sono impadroniti di diversi territori in Yemen, tra cui una base militare nella regione di Hadramawt e l’aeroporto locale situato nel capoluogo Mukalla.