Viaggio nei laboratori della tecnologia del futuro

da San Francisco

È una mattinata qualunque di un giorno lontano dieci anni al massimo. Mentre ci laviamo i denti, sullo specchio del bagno compare la lista dei nostri appuntamenti e la situazione del traffico verso l’ufficio; durante la colazione, sul tavolo della cucina scorrono le notizie del giorno; al lavoro, in trasparenza sulla finestra, ecco i grafici di una presentazione, i messaggi dei colleghi, varie comunicazioni di servizio. Tutto interattivo, modificabile, personalizzabile. Come avviene sul pc o sul telefonino.

Computer e smartphone sono usciti dai loro confini, vivono dentro le cose. Che rispondono a comandi vocali, impartiti tramite un linguaggio colloquiale. Per avviare il televisore, basta dire: «Tv, accenditi». E così per la lavatrice, il forno, la lavastoviglie. Le stanze sono diventate intelligenti: grazie a una rete di sensori e occhi elettronici capiscono quante persone sono presenti al loro interno e regolano la temperatura di conseguenza o spengono le luci quando tutti sono usciti; grazie al riconoscimento facciale, sanno chi c’è in un determinato ambiente e possono riprodurre la sua musica preferita o proporgli di continuare a vedere una serie tv dal minuto in cui l’ha interrotta il giorno prima. Persino sul display del frigorifero mentre sta cucinando.

Dalle origini al futuro della Silicon Valley

Marco Morello
L'esterno degli Hp Labs in Silicon Valley

Dalle origini al futuro della Silicon Valley

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La parete con alcuni dei brevetti degli Hp Labs

Dalle origini al futuro della Silicon Valley

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È a qualche minuto dai laboratori di Hp, in una stradina silenziosa di villette basse, alberi e prati curatissimi. Sembra un garage identico a tutti gli altri, ma è qui che negli Anni Trenta gli ingegneri David Packard e Bill Hewlett misero le basi di un impero di chip, il più antico e longevo di un’area che oggi, in pochi chilometri, ospita colossi come Apple, Facebook e Google. La Silicon Valley è nata in questo stanzone buio, tra queste pareti di legno piene di storia.

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Un particolare del garage.

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I primi prodotti realizzati da Hp negli Anni Trenta dello scorso secolo.

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Uno degli uffici originali di David Packard e Bill Hewlett. Hanno creato ufficialmente l’azienda che porta i loro cognomi nel 1939, dopo aver lavorato per cinque anni nel garage.

Dalle origini al futuro della Silicon Valley

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Gli uffici sono ancora conservati integralmente, con gli arredi originali, al piano superiore della sede degli Hp Labs.

La prova generale di futuro a cui assistiamo avviene nei laboratori di ricerca e sviluppo della multinazionale americana Hp. Siamo a Palo Alto, a mezz’ora d’auto dal centro di San Francisco (il doppio o il triplo con il traffico), in una schiera di edifici bassi circondati dal verde, parecchio blindati, dov’è proibito scattare foto e a cui Panorama ha avuto accesso in esclusiva per l’Italia. Non ci sono tracce di auto volanti nel parcheggio o di robot antropomorfi che gironzolano nei corridoi, eppure, attraversando queste stanze, si vive la sensazione di essere finiti in un film di un regista molto visionario, scaraventati in un domani remoto che trasmette un misto di stupore e inquietudine. Ma la fantascienza non c’entra, come dimostra una storia lunga quasi ottant’anni segnata da un corposo curriculum di rivoluzioni: questo è il luogo d’origine della Silicon Valley californiana, il più florido polo mondiale dell’innovazione; qui sono stati inventati la stampante a getto d’inchiostro, il primo pc con lo schermo touch, il led per uso commerciale. Tecnologie indispensabili nel nostro quotidiano. Qui, tra pareti che espongono tappeti di brevetti, stanze disordinate dal vigore creativo di 120 ingegneri e scienziati sceltissimi, tra provette e tastiere, chip e camici bianchi, s’immaginano i prossimi passi dell’hi-tech.

Il progetto cardine, che è assieme un traguardo e una visione, si chiama «ambient computing». Ovvero, «tutto quello che oggi facciamo davanti al display di un pc o di uno smartphone, sarà sciolto nell’ambiente, diffuso negli oggetti comuni» spiega Keith Moore, tra i responsabili degli Hp Labs e nostro cicerone in questo viaggio con lo sguardo in avanti. «Sarebbe erroneo» fa notare Moore «ridurre tutto al trasferimento degli schermi nell’arredamento. Io parlerei, anche, di superfici interattive con un piccolo cuore di chip al loro interno, collegato senza fili via internet a un computer con cui interagiranno». Qualche esempio? «Al ristorante chiameremo il cameriere premendo un pulsante su un punto del tavolo che gli manderà una notifica». Oppure, in un museo, la spiegazione di un quadro verrà letta in automatico dallo smartphone sfiorando con i polpastrelli una zona del muro accanto all’opera.   

«Dopo la realtà virtuale sarà il turno di una ibrida, in cui il mondo digitale e quello fisico verranno fusi tra loro» riassume Shane Wall, capo della tecnologia di Hp e direttore dei Labs. «Ma questa sovrabbondanza tecnologica» aggiunge «farà sì che i dispositivi che usiamo oggi di continuo saranno marginalizzati». Il senso è che non passeremo le giornate con gli occhi chini sullo smartphone o ipnotizzati da un pc perché le informazioni che ci servono, dalle chat alle mail, dai risultati delle ricerche sul web ai documenti di lavoro, ci saranno comunicati in vivavoce oppure compariranno dove ci è più comodo in un determinato frangente. Anche, appunto, su una finestra dell’ufficio o sul cruscotto dell’auto mentre siamo in giro. «Il computer» ribadisce Wall «diventerà un elemento dell’ambiente a cui non faremo più caso».

«Dopo la realtà virtuale sarà il turno di una ibrida, in cui il mondo digitale e quello fisico verranno fusi tra loro. Il computer diventerà un elemento dell’ambiente a cui non faremo più caso».

Certo, oltre a definire il domani, l’ossessione in questo come in qualsiasi altro centro di ricerca è garantire la sicurezzatotale di tali soluzioni. «I.T.», l’ultimo film con l’ex 007 Pierce Brosnan, racconta la storia di un esperto d’informatica che, per vendetta, rovina la vita di un uomo prendendo possesso della sua casa smart e della sua macchina connessa: registra la figlia sotto la doccia e manda il filmato a tutti i compagni di scuola, manomette a distanza i freni della vettura e la fa sbandare provocando un incidente. Uno scenario non troppo inverosimile, che non ha bisogno di scomodare ribellioni delle macchine alla Terminator o capricci di un’intelligenza artificiale. Basta l’uomo, con le competenze giuste e intenzioni pessime.

«Tutti i contenuti mostrati su finestre, tavoli o pareti» rassicurano però i tecnici dei laboratori di Hp «resteranno nei pc e nei cellulari, che li trasmetteranno a queste superfici per il tempo necessario dell’interazione». In sostanza, messaggi di posta, flussi dei social e dintorni, non cambieranno la loro collocazione attuale: saranno in pericolo tanto quanto lo sono adesso. Anzi, in teoria, un po’ meno, perché tra riconoscimento facciale e vocale, il nostro corpo sarà la nuova password, un fattore di autenticazione più affidabile di una banale sequenza di caratteri. O almeno è rassicurante credere che sia così, visto il processo in corso, furioso e abbastanza inesorabile: «Tra 10 anni» conclude Wall «i dispositivi saranno un miliardo di volte più potenti rispetto a oggi. I telefonini di questa generazione sembreranno vecchi aspirapolvere». Arriverà il momento in cui li guarderemo con pietosa condiscendenza e, forse, un pizzico di nostalgia. 

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