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Via l'esercito dall'Afghanistan

La missione ISAF in Afghanistan sta per terminare, ma ciò non significa che l'Italia non sarà più presente in quel teatro. E' prevista, infatti, una riduzione da 2.000 a 800 effettivi, assieme a tutti i mezzi e la logistica necessari, con compiti di addestramento e consulenza alle forze afghane.

Per la pubblica opinione è difficile giustificare, dopo tutti questi anni, questo ulteriore impegno. I media parlano ormai poco di quanto accade in quel teatro, forse solo in caso di eventi luttuosi. Se autonomamente ci si cerca di informare, alla pagina delle operazioni militari del sito della Difesa, sull'Afghanistan, in apertura si trova: "Siamo in Afghanistan a sostegno della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 1386 del 20 dicembre 2001". Vero, ma criptico. 

Oggi, soprattutto, i cittadini si interrogano sulle possibili positive ricadute di questo grande sforzo italiano, nel quotidiano della nazione. E difficilmente si vanno a leggere la risoluzione Onu (peraltro nonlinkata). Un esempio di quello che si dice in giro è che, visti i risultati della "questione marò", la missione in Afghanistan non serva neanche a dare prestigio all'Italia nel mondo. 

Il risultato di tutto ciò è che il sostegno alla missione che nel 2006 era del 69% della popolazione adulta, con meno di un quarto di contrari, oggi è sceso al 47%. Per qualche punto questi italiani sono minoranza e sono stati superati dagli sfavorevoli, che sono al  48%. E' venuto a mancare il sostegno dei giovani, in altre occasioni i più entusiasti dell'azione delle nostre Forze Armate, e il consenso nel Nord Italia: nel 2006 oltre la media nazionale, oggi all'inverso. 

Di più, la missione viene messa in discussione nelle sue fondamenta etiche. Solo un 50% ritiene che le nostre truppe siano portatrici di pace; per una quota non dissimile, il 42%, l'Afghanistan non è altro che "una missione di guerra".  Un'Italia divisa in due su un tema fondamentale: per Costituzione, l'Italia ripudia la guerra.

E' una situazione preoccupante. Se Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, sostiene che occorra un più opportuno utilizzo del dispositivo militare, ad esempio in teatri come la Libia più vicini ai nostri interessi nazionali, io sottolineo la necessità di una più efficace comunicazione ai cittadini. Fra poco vi sarà la discussione sul rifinanziamento stesso: i militari chiederanno soldi alla politica e la politica sulla pubblica opinione vive.

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