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Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Ue (IStock).
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Vattani: «Per aiutare davvero l'Ucraina, si muova la diplomazia europea»

«Questa è una crisi europea ed è importante che la risolvano gli europei. Le mediazioni che vengono da fuori rischiano di sancire l'inesistenza di una politica dell'Ue. La diplomazia dell'Unione deve scendere in campo, presenziare agli incontri fra russi e ucraini ed esercitare tutta la sua influenza per individuare una possibile intesa sui principi e successivamente sui dettagli». In estrema sintesi, questa è la proposta per uscire dall'impasse ucraina dell'ambasciatore Umberto Vattani. Il diplomatico italiano, che ha vissuto da vicino la fine della Guerra fredda e la dissoluzione dell'Urss, è della scuola di Giulio Andreotti, di cui è stato consigliere diplomatico. Panorama lo intervista per capire quali sono le possibili vie d'uscita dal conflitto, nel giorno in cui la Cina alza i toni contro gli Stati Uniti e i russi bombardano l'ospedale pediatrico di Mariupol.

Prima che iniziasse il conflitto, lei considerava inutili i pellegrinaggi individuali a Mosca e diceva che si doveva tornare alla diplomazia, lontano dai riflettori. Due settimane dopo, è ancora di quest'idea?

«La via diplomatica è ancor più necessaria di prima, perché la situazione è drammatica. L'aggressione russa è sermpre più violenta. Occorrerebbe dare la parola alla diplomazia, che è l'arte di allentare le tensioni, di disinnescare le crisi e di far cessare le ostilità».

Ma dal 2014 a oggi in Ucraina si è vista ben poca diplomazia...

«C'è stata un'escalation, sfociata in una sanguinosa guerra sul territorio europeo dalle conseguenze incalcolabili, che rischia di far scomparire per decenni la prospettiva di riavvicinare la Russia all'Occidente. E di cancellare gli schemi di collaborazione fra Russia ed Europa che sembravano a portata di mano dopo la caduta del Muro di Berlino. Allora il sogno di tutti i Paesi europei era di vivere finalmente in un continente senza rischi e lontano dai conflitti, salvando le future generazioni dal flagello della guerra».

A chi giova questo conflitto?

«Ai produttori di armi, ai petrolieri, ai mercenari».

E a chi nuoce?

«Oltre all'Ucraina, che sta vivendo un vero e proprio martirio, anche all'Europa. Per le immani sofferenze dei popoli vicini a noi, per le terribili distruzioni, per gli effetti devastanti delle sanzioni. E per una frattura che si sta accentuando fra le due parti del nostro continente che mette a rischio la stabilità, in particolar modo nell'Europa orientale e nei Balcani».

Intanto, il tempo passa. Qual è il rischio?

«A parte l'intensificazione delle azioni militari, è quasi inevitabile un irrigidimento. Zelensky sa che il tempo lavora per lui, dato il vastissimo appoggio della comunità internazionale e l'inasprimento delle sanzioni sulla Russia e fa appello a sempre maggiori aiuti economici e militari. Putin, invece, è alla ricerca di continui avanzamenti militari sul terreno per mettere a tacere il dissenso interno e cercare di far sopportare le sanzioni a una popolazione sempre più inquieta e angosciata. E si avvale della russofobia per sostenere che l'odio occidentale non è diretto contro di lui ma contro tutto il popolo russo».

Eppure russi e ucraini si sono incontrati...

«In questi round di colloqui si è raggiunta qualche intesa solo sui corridoi umanitari, che poi non è neanche stata rispettata. Gli incontri a due sembrano bloccati per il momento dalle richieste divergenti da una parte e dall'altra».

E come si supera quest'impasse?

«È più urgente che mai cercare soluzioni diplomatiche, inserendo nelle discussioni anche Paesi garanti. Occorre esercitare una pressione diplomatica collettiva da parte dei principali Paesi europei per ottenere l'avvio di trattative diplomatiche senza interruzioni e limiti di tempo. Non può certo sorprendere che, arrivati al quattordicesimo giorno del conflitto, i rapporti fra Russia e Ucraina si siano deteriorati al punto che nessuno dei due nutra fiducia nell'altro. Ecco perché occorre ampliare il tavolo. Trattandosi di una crisi in Europa, tocca agli europei. Superando lo sdegno che suscitano le immagini di questa efferata aggressione, è nostro dovere cercare una soluzione per far cessare le ostilità il più rapidamente possibile, evitando ulteriori bagni di sangue. Occorre esercitare una forte influenza e pressione diplomatica collettiva sul Cremlino».

Ma l'Europa non è ormai percepita dai russi come di parte?

«La presenza attorno a un tavolo di Paesi europei non può non essere accettata dai russi. L'Italia dovrebbe far parte di questo gruppo di lavoro, insieme a Francia e Germania, a cui sarebbe bene aggiungere anche il Regno Unito. Una possibile soluzione è che, in cambio di una neutralità della Ucraina, garantita dai Paesi europei e dagli Stati Uniti, Kiev venga ammessa nell'Unione europea e che venga creato un sistema di sicurezza nel continente. Mosca certamente insisterà per un maggiore ruolo dell'Osce. Vi sono naturalmente molti altri problemi di cui tenere conto, ma proprio per questo sarebbe opportuno l'apporto dei direttori politici dei Paesi del gruppo di lavoro. Armati di tanta pazienza, potrebbero riunirsi in permanenza a Vienna, presso l'Osce, o a Ginevra nella sede delle Nazioni Unite».

E gli Stati Uniti?

«Gli Stati Uniti sono riusciti a mantenere compatti tutti gli europei sulla loro linea e di fronte all'aggressione la Nato ha trovato una nuova ragione d'essere. Certo, per motivi geografici, gli Stati Uniti sono meno esposti dell'Europa agli effetti del conflitto. Ma non possono vedere con favore l'effetto di una guerra che ha ravvicinato la Russia alla Cina».

In effetti la guerra ha ricompattato gli alleati europei.

«Ma ha anche creato un solco profondo fra Europa e Russia, che dai tempi di Pietro il Grande era entrata nel concerto delle nazioni europee».

Ma ora è l'Ucraina a patire le pene dell'inferno.

«Ogni giorno che passa, aumentano a dismisura le sofferenze della povera gente. Ecco perché è necessario agire. Ma le ostilità non cesseranno se prima non si avrà una chiara idea dei passi da compiere. Per questo un gruppo di lavoro che veda riuniti i direttori politici lontano dai riflettori può aiutare a trovare una soluzione».

E come?

«Anzitutto gli ucraini pretendono, a giusto titolo, il riconoscimento della loro sovranità, della loro indipendenza e della loro integrità territoriale. Esigono il ritiro delle truppe russe dal loro territorio, la ricostruzione delle città e i danni di guerra. E, in attesa dell'ingresso nell'Unione europea, chiederanno aiuti all'Occidente».

E i russi?

«Mosca sicuramente dovrà pagare un prezzo per la sua aggressione. Anzitutto riconoscendo la legittimità del governo di Kiev e poi ritirandosi dal Paese».

E come si potrebbe superare il nodo della Crimea e delle republiche secessioniste di Luhansk e di Donetsk?

«Questo sarà il punto più complesso. Per quanto riguarda la Crimea, la Russia farà valere il risultato del referendum del 2014, ma si potrà obiettare che questo non è avvenuto sotto controllo internazionale. Per quanto riguarda la situazione delle repubbliche secessioniste, vista anche la distruzione della regione, una soluzione potrebbe essere l'invio di caschi blu. Una forza di peace-keeping dovrebbe riuscire a evitare il dilagare della violenza».

In conclusione, ora la parola deve passare alla diplomazia.

«L'avvio di una forte iniziativa diplomatica collettiva dovrebbe scongiurare il pericolo di ulteriori escalation o addirittura di un ampliamento del conflitto. Perché, messo in un angolo, Putin potrebbe prendere decisioni dalle conseguenze spaventose».

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