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Mario Draghi a Bruxelles il 25 giugno 2021 (Ansa).
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Vattani: «Dalla Farnesina una via d'uscita al conflitto ucraino»

In un momento in cui c'è una rinnovata attenzione alla diplomazia, domani alle 9,30 a Bruxelles si terrà un incontro dei ministri degli Esteri dell’Unione europea. E, il 24 e il 25, del Consiglio europeo, al quale parteciperà Mario Draghi. Questi incontri consentiranno alla diplomazia italiana di approfondire l'idea, con alcuni partner, di una possibile mediazione europea. Panorama ne ha parlato con l'ambasciatore Umberto Vattani.

Di che cosa si parlerà domani a Bruxelles?

«Dell'aggressione militare russa contro l'Ucraina e della situazione in Mali. Dopo di che ci sarà una riunione allargata con i ministri della Difesa sull'approccio Ue alla sicurezza del continente nei prossimi cinque-dieci anni».

Sarebbe il momento opportuno per presentare una proposta italiana... Anche perché, giorno dopo giorno, appare chiaro che né l’Ucraina né la Russia hanno interesse a prolungare indefinitamente la guerra.

«Dopo tre settimane e più dall’inizio dell’aggressione è impossibile negare che il conflitto nuoce a tutti, per cominciare all’Ucraina, ma anche alla Russia che oltre alle perdite militari subisce la devastazione della propria economia, colpita dalle sanzioni. Pesantissimi danni li subiscono anche i Paesi europei. Gli unici a sottrarsi sono la Cina e gli Stati Uniti, anche se per questi ultimi assistere a una sempre più stretta associazione tra Mosca e Pechino non può lasciarli indifferenti».

Ma perché adesso?

«Guardi, ieri sui giornali è apparsa una pagina bianca, del tutto priva di quelle immagini che hanno sconvolto la sensibilità degli italiani e del mondo intero. Immagini di una guerra che colpisce duramente la popolazione civile, e ha provocato distruzioni immani. Al centro della pagina una sola parola, quattro lettere mute ma allo stesso tempo potenti: pace. E, in basso, la voce “pace” come appare nella Treccani. Questo Sos, meglio di 100 discorsi, esprime l’anelito di noi italiani e dell’intera umanità impegnata fino a ieri a combattere contro un virus invisibile che ci ha messo in ginocchio. Sappiamo che un altro pericolo mortale incombe sul pianeta: il cambiamento climatico. E, invece di affrontare queste sfide, siamo costretti ad assistere impotenti a catastrofi provocate dall'uomo».

E la Cina?

«La telefonata tra i presidenti Joe Biden e Xi Jinping non sembra aver sortito i risultati sperati. Alla richiesta di intervenire per frenare Putin, il leader cinese si è rifugiato dietro un proverbio secondo cui ” è compito di chi ha messo il sonaglio al colle della tigre, toglierlo”. Questa risposta mi ha ricordato quella con cui Leonid Brezhnev 45 anni fa aprì l’incontro con il ministro degli esteri Arnaldo Forlani a Mosca. Descrivendo con un ampio gesto la volta celeste, disse: “C’è molta confusione sotto il cielo”. E dopo una lunga pausa, aggiunse, “La situazione resta ciononostante eccellente”. Era ovvio che si riferiva al Paese di mezzo».

Come andrà a finire? Può succedere qualcosa in Russia?

«È improbabile che qualcuno in Russia, per quanto vicino a Putin, possa convincerlo a fermarsi. Credo che un segnale dovrebbe venire dal di fuori. E non vedo perché non debba venire dall’Europa. Abbiamo assistito a tentativi di mediazione da parte di Israele e perfino dalla Turchia. Sarebbe forse il momento che si muovesse la diplomazia europea, tanto più che si tratta di un conflitto sul nostro continente».

Insomma, bisogna agire.

«Occorre fare presto, ricordando che si pecca anche per omissione. Nulla è stato fatto da parte europea per prevenire il conflitto. Eppure era prevedibile. E quando è iniziata l’aggressione russa, nessun intervento serio è stato fatto da parte dell’Ue per far cessare le ostilità. Si può dire, forzando un po’ i toni, che l’unica reazione di Bruxelles è stata: “Ve la faremo pagare”. E così ci siamo limitati ad applicare sanzioni sempre più severe e abbiamo inviato armi».

Ma è questo il modo di cercare la pace?

«No. Suggerirei un’iniziativa collettiva, non di un solo Paese. I viaggi a Mosca di singoli leader si sono rivelati inutili. Ho detto più volte che la diplomazia ha in mano diverse armi. In questo caso occorrerebbe un’azione collettiva».

Ma chi dovrebbe muoversi?

«A mio avviso un’azione di mediazione dovrebbe essere condotta dai maggiori Paesi dell’UE che non hanno una frontiera in comune con la Russia: Italia, Francia, Germania e Spagna. Si deve tener conto della geografia, oltre che delle lezioni della storia. Penso che Mosca potrebbe accettare un’azione congiunta di questi Paesi, intesa a imporre una cessazione delle ostilità. Ovviamente insieme a un piano per la definizione delle questioni in sospeso».

E come la prenderebbero gli americani, che secondo Lavrov tengono per mano la delegazione ucraina?

«Non penso che dovrebbero opporsi. Una qualsiasi mediazione che venisse accettata da Mosca e da Kiev, non può essere respinta. A maggior ragione, se a negoziare la cessazione delle ostilità fossero quattro alleati europei degli Stati Uniti. E finalmente l’Ue dimostrerebbe di volere e sapere svolgere un ruolo politico».

Con quali obiettivi?

«Non si può chiedere a Putin di cessare le ostilità se non intravede la soluzione del conflitto. In caso contrario considererebbe la tregua una manovra dilatoria, per guadagnare tempo».

Ma concretamente cosa si potrebbe fare?

«I miei sono solo suggerimenti. Il piano messo a punto dai quattro Paesi europei dovrebbe prevedere un insieme di impegni per l’una e l’altra parte da tradurre poi in un trattato di pace. È evidente che entrambe le parti dovranno rinunciare alle proprie rivendicazioni massimaliste, ma dovrebbero comunque essere in grado di presentare alla propria popolazione l'accordo finale come una vittoria».

Su quali basi?

«Stando alle dichiarazioni fatte finora dai due leader, i punti potrebbero essere i seguenti. Anzitutto, la riaffermazione della piena sovranità dell’Ucraina. Poi lo status di neutralità del Paese, assicurata da solide garanzie internazionali. Di pari passo, la riaffermazione dell’integrità territoriale ucraina, con la previsione di referendum controllati dall'Osce da tenere dopo un certo numero di anni in Crimea e nelle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk. In aggiunta, l’introduzione nella costituzione ucraina di clausole che garantiscano il bilinguismo e il rispetto delle minoranze. A seguire, un piano internazionale di aiuti per la ricostruzione delle città e delle infrastrutture e in contemporanea la fissazione di un termine per l'applicazione delle sanzioni alla Russia, legate ai tempi di ritiro delle forze di occupazione di Mosca. Potrebbero poi rivelarsi necessarie, nel corso dei negoziati, ulteriori concessioni, da una parte e dall'altra».

Quello che conta è che né Mosca né Kiev perda la faccia.

«È proprio così. Le proposte finali dei negoziatori europei dovrebbero consentire all’uno e all’altro di sostenere di aver accettato una soluzione corrispondente ai propri obiettivi. Volodymyr Zelensky dovrebbe poter affermare di aver resistito eroicamente al tentativo russo di imprigionare l'Ucraina nella sua sfera di influenza e di essere riuscito ad ottenere l’ingresso, nei tempi necessari, nell’Unione europea. E potrebbe far presente che lo status di Paese neutrale dell'Ucraina sarebbe simile a quello di altri importanti Paesi membri dell’Ue, come Austria, Irlanda, Svezia e Finlandia. In cambio, otterrebbe un generoso nuovo Piano Marshall per il suo Paese, dopo averne salvaguardato l'integrità territoriale. Per quanto riguarda la Crimea e le due autoproclamate repubbliche, potrebbe dire di essere semplicemente disposto a riconoscere il principio dell’autodeterminazione dei popoli».

E il presidente russo Putin? Ormai non parla più di cambio di regime in Ucraina...

«Putin potrebbe presentare come un successo quello di aver tenuto testa alla più grande coalizione occidentale, di aver impedito all'Ucraina di entrare nell’Alleanza Atlantica, di averne ottenuto la smilitarizzazione, con precisi limiti rispetto al suo riarmo e, soprattutto, l’impegno a non sviluppare armi nucleari sul suo territorio. Potrebbe anche sottolineare l'importanza delle garanzie costituzionali in materia di bilinguismo e di protezione delle minoranze russe. Quanto alla denazificazione, potrebbe esigere, oltre alle citate modifiche costituzionali, anche la fuoriuscita di formazioni neonaziste dalla Guardia nazionale ucraina, al cui interno sono attualmente inquadrate. E, rispetto alla soluzione territoriale prevista per le zone per le aree contese, potrebbe dire di aver ottenuto il riconoscimento del diritto di quelle popolazioni a esprimere liberamente la propria volontà.

Insomma, sarebbe una soluzione win-win...

«L'obiettivo è questo. Tali riflessioni sarebbero da affinare nel corso della mediazione alla luce delle richieste dell’una e dell’altra parte. Sono convinto che esistano spazi per raggiungere un accordo. I leader dei Paesi dell’Unione Europea hanno l'obbligo morale di agire, anche nei confronti delle loro popolazioni che assistono impotenti al massacro. L'Europa ha ignorato le minacce che da mesi, se non da anni, si stavano addensando alla frontiera tra Russia e Ucraina. È il momento di agire».

Una volta ottenuto il cessate il fuoco, che cosa si dovrà fare?

«Stilare un trattato che metta fine a questo doloroso conflitto, impedendo che fantasmi tornino alle frontiere dell’Europa. Per questo motivo, dovrebbe essere sottoscritto oltre che da Russia e Ucraina, dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu, quindi anche da Stati Uniti e Cina. Se altri Paesi volessero intervenire, se ne potrebbe discutere».

E l'Italia potrebbe vantare un ruolo nella risoluzione di questo conflitto.

«La nostra diplomazia ha sempre saputo cogliere l’occasione per far prevalere il buon senso. L'esperienza dell'Alto Adige dimostra la nostra capacità di venire incontro alle esigenze delle minoranze. Bene ha fatto il presidente Mario Draghi a promuovere in questi giorni una rafforzata collaborazione con importanti Paesi del Mediterraneo, riunitisi a Roma. È una dimostrazione concreta del ruolo di mediazione che l'Italia può svolgere, non solo all'interno dell'Unione europea ma anche nell'Alleanza atlantica. Vorrei fare un'ultima precisazione».

Prego.

«Stando a quello che riferiscono i media, è evidente che l'Ucraina e molti Paesi occidentali si rifiutano di fare qualsiasi concessione a Mosca perché la considererebbero un cedimento o un appeasement di fronte all'aggressore. E temono che una soluzione negoziata rafforzerebbe la posizione di Putin, all'interno e all'esterno. Ma prima di mettere nell'angolo una potenza nucleare faremmo bene a pensarci due volte. Tra l'altro, quale che sia il compromesso che verrà raggiunto, questo sarà fortemente criticato tanto in Russia quanto in Ucraina. Molte voci si leveranno, adducendo motivazioni politiche ed etiche. Dobbiamo prevedere che, data l'accesa contrapposizione, rimarrà una forte incompatibilità nelle narrative del conflitto. Ed è anche probabile che l'una e l'altra parte sospetteranno il mancato rispetto degli accordi. Tutto questo dobbiamo aspettarcelo. Ma non ci sono alternative».

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