Un imprenditore può fallire (in America)

Simone Tarantino, business strategist di AudioBox

Per me è primo pomeriggio, per lui è mattino presto. Io oggi ho un appuntamento in Piazza San Babila, lui ce l’ha a Times Square. La nostra chiacchierata su skype nasce in seguito ad uno scambio di messaggi legati al mondo delle startup e alla paura che gli imprenditori hanno di fallire.

Simone Tarantino vive nella Grande Mela dal 2001 e attualmente fa parte del team di AudioBox, composto interamente da italiani, di cui tre vivono ancora in patria.

AudioBox e’ una piattaforma che permette di fare stream della propria musica, memorizzata nel proprio computer o in servizi cloud supportati, su telefoni, computer o altri dispositivi collegati alla rete.

Simone si occupa di tutto ciò che riguarda business strategy e marketing, mentre Claudio Poli, CEO dell’azienda, è il platform developer, ovvero colui che crea l’infrastruttura su cui Fabio Tunno e Valerio Chiodino, i due developer, sviluppano le app. Inoltre,  Simone è consulente sempre in ambito “nuove imprese”, ovvero aiuta gli imprenditori a capire quanto sia realmente fattibile la realizzazione della loro idea.

“Si devono prendere tante facciate e non si deve aver paura di fallire”, mi dice scordandosi per un istante del fatto che parla con una persona che vive in Italia. “Simone, qui un imprenditore non può sbagliare, viene marchiato a vita”, ci tengo a precisare. Non potrebbe comunque trovarmi più d’accordo sul fatto che gli errori in un percorso imprenditoriale ti devono essere concessi, se no come diavolo fai ad imparare?

“I due grandi errori che ho fatto in passato sono underestimate the commitment e l’essere superficiale nella scelta del team“. Mi spiega che quando sei giovane parti con tantissimo entusiasmo che ti appanna la vista e non ti fa capire lucidamente da subito le rinunce che andrai a fare:“ Devi tenere i piedi per terra perché i sacrifici dopo un po’ pesano. Alla decima volta che non riesci ad uscire con i tuoi amici la sera, non ti cercano nemmeno più. Bisogna essere abili a bilanciare la vita personale con quella lavorativa, che però non ha un ritmo regolare, ma sincopato: tutto ruota intorno all’azienda che stai sviluppando e gli orari te li stabilisci tu giorno dopo giorno, nulla è stabile”.

Per quanto riguarda il team, è alquanto difficile circondarsi delle persone giuste per fare business: “Non li devi scegliere perché sono simpatici o sono tuoi amici, ma perché sono complementari a te nel lavoro e simili a te sufficientemente da avere la stessa vision. Questa ricerca però richiede tempo e pazienza”.

E così, tra uno sbaglio e l’altro, ora lavora in una startup che in sei mesi ha accumulato più 20.000 utenti. E non è il primo a dirmi che negli USA il fatto di aver già un grosso fallimento alle spalle o di aver commesso una serie di errori è visto come un “plus” per coloro che ti devono assumere o che ti devono scegliere come socio della propria azienda.

Non poteva che salutarmi così, un istante prima che terminassi la chiamata:”Success is the ability to go from one failure to another with no loss of enthusiasm. Non lo dico io eh, ma Churchill!”

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