Un cuore buono per i cani

Un giovane di nome Nastagio ama una fanciulla che non lo ricambia. A niente sono valsi i numerosi banchetti in suo onore: lei «altiera e disdignosa», fredda è e fredda rimane. Sull’orlo della consunzione, medita un gesto eclatante, ma non sa se suicidarsi, uccidere lei, o proclamare che la odia e intende dimenticarla. Gli amici consigliano lo sconsigliato di andarsene per qualche giorno da Ravenna, dove vive, e così egli fa.

Un venerdì di maggio, passeggiando sotto i pini, vede correre verso di lui una «bellissima giovane ignuda» e terrorizzata: la seguono due cani rabbiosi e un cavallo montato da un cavaliere furente che la «minaccia di morte con parole spaventevoli e villane» brandendo uno stocco.

La scena si svolge in pochi secondi sotto i suoi occhi: la fanciulla cade, assalita dai cani; il cavaliere le si avvicina e prima che possa rialzarsi le sferra un colpo di stocco sulla schiena, lacerandola; poi scende da cavallo, e con un coltello apre quella ferita fino alle reni, vi infila le mani fino a sentire le vertebre, afferra il cuore, «duro e freddo», «nel qual mai né amor né pietà poterono entrare», lo strappa «con l’altre interiora insieme», e lo getta ai cani, che lo divorano sull’erba. Dopo pochi istanti di puro raccapriccio («Nastagio, tutto timido divenuto e quasi non avendo pelo addosso che arricciato non fosse»), la fanciulla, come niente fosse stato, si rialza, e la caccia infernale ricomincia.

Boccaccio, che la storia ha inventato (o meglio: tramandato), facendola narrare ai giovani che fuggono la peste nella V giornata del Decameron, la montò con un’abilità cinematografica: il cavaliere si ferma, e all’atterrito Nastagio racconta di essere uno spettro, un’ombra che sconta la sua pena all’inferno per essersi suicidato a causa delle sofferenze d’amore prodotte dalla eviscerata/evisceranda, «che già cotanto l’amai di seguitarla come mortal nemica, non come amata donna». Nella sua pena eterna, gli era bastato aspettare la morte di lei, chiamata poi dalla legge infernale a inscenare per l’eternità, ogni venerdì, quel contrappasso cruento, e a condividere con lui una pena infinita.

Musica per Nastagio, il quale, machiavellicamente, pensa di trarre profitto da quell’hard core della Provvidenza, organizzando un banchetto proprio in quel punto del bosco e invitando la fanciulla ravennate che lo ha rifiutato, insieme ad alcuni concittadini e alla sua famiglia. Vedendo la scena, la altiera e disdignosa diventa un foco d’amore.

Botticelli mise in quattro pannelli acidi e aspri, in cui il sadismo viscerale spaventa quanto più assume le forme della grazia, la crudele storia di Nastagio degli Onesti: gli furono commissionati nel 1483 come regalo di nozze per Giannozzo Pucci e sua moglie Lucrezia, nella cui stanza da letto finiranno, uno per parete.

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