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Maidan 2, la vendetta del Cremlino

La rivolta armata filo-russa nell’Ucraina sudorientale è ben peggio di una seconda Crimea. E non solo per l’attacco ucraino sull’aeroporto militare di Kramatorsk, vicino a Donetsk. Stavolta il rischio è la guerra civile. Se ci fosse un bagno di sangue, l’intervento di Mosca sarebbe inevitabile: oltreconfine sono già schierati 35-40 mila soldati russi. In una dozzina di città, come Donetsk, Mariupol e Lugansk, miliziani armati hanno occupato dal 12 aprile centrali di polizia, sedi dei servizi segreti, governatorati e municipi. Fra attivisti e miliziani, sarebbero 12 mila.

Tante piccole Maidan con barricate, mimetiche, scudi e appoggio popolare fotocopia della rivolta di Kiev. Stavolta i miliziani inneggiano all’autoproclamata repubblica filorussa di Donetsk. Tanto che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha denunciato "l’ipocrisia occidentale: le violenze sfociate in decine di morti in piazza Maidan a Kiev sono state chiamate democrazia. Le proteste nel sud-est ucraino sono considerate terrorismo". I manipoli armati sono composti da ex Berkut, i corpi speciali della polizia sciolti dal nuovo governo, militari filorussi e ufficiali giunti dalla Crimea. E non mancano agenti infiltrati del Gru, i servizi militari di Mosca. Non a caso, l’escalation è iniziata alla vigilia del summit di Ginevra del 17 aprile. Lo scopo è farlo saltare (o alzare la posta per una soluzione diplomatica). I filo-Mosca vogliono un referendum: se non lo otterranno sono pronti alla secessione. L’1 e il 9 maggio (festa della vittoria sul nazismo) sono ad alto rischio: lo scenario è una secessione a macchia di leopardo, in vista delle presidenziali del 25 maggio.

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