Transformers 4: il capitale cinese

In una delle primissime scene di Transformers 4, uscito ieri, Mark Wahlberg entra in un vecchio cinema dismesso come Valeria Bruni Tedeschi nel Capitale umano. La differenza è che Bruni Tedeschi compra lo stabile per riportare la cultura nella Brianza leghista, Wahlberg compra un vecchio camion (trovato dentro il cinema: è la sospensione dell’incredulità, baby), che si rivelerà essere un robottone.

È una delle voci del manifesto del regista Michael Bay, insieme alle solite ragazzine in shorts e un cameratismo da gita di terza media (la prima in cui, ai miei tempi, si dormiva fuori): rottamare il vecchio cinema, laddove per vecchio s’intende fatto da gente come James Cameron e Steven Spielberg (che peraltro produce). C’è anche un robottino simile a quello di Corto circuito – che nostalgia – e che ovviamente esploderà.

Con la sua mano pesante, Bay tenta per 165 minuti (centosessantacinque minuti) di ridefinire un’idea di cinema popolare dove non serve scrivere più niente: basta raccogliere soldi e sponsor. Con una cordata che pare quella di Fabrizio Gifuni nel solito film di Virzì, arriva in Cina, piazza marchi di bibite a noi sconosciute, a Hong Kong Stanley Tucci beve da un cartoccio di latte con il logo in evidenza, manco fosse Maria Elena Boschi. E poi, ai pechinesi piace Armani? Facciamogli mettere un bel poster nell’ennesima sequenza di robot che fanno la lotta.

Al momento Transformers 4 è il più grande successo dell’estate americana, e il film più visto in assoluto in Cina.
Immagino le prossime estati: Indiana Jones che scala la Muraglia, Iron Man che scarta biscotti della fortuna, Capitan America che non salva più Chicago, ma Taiwan.
E il cinema americano sempre più piccolo, come l’agenzia immobiliare di Fabrizio Bentivoglio – sì, sempre nel Capitale umano.
Al suo posto, del resto, i cinesi brianzoli stavano aprendo un bar.

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