Suicidi nelle Forze dell'Ordine: i dati di una strage

Terminato il servizio alle 20, l’ispettore capo del carcere di Monza, una donna di 41 anni, madre di un bambino di appena dieci anni, ha spento il motore dell’auto parcheggiata ordinatamente nella zona industriale a Brugherio, hinterland di Milano. Ha preso la propria pistola d’ordinanza e si è tolta la vita. Dinamica fotocopia di un altro suicidio avvenuto appena quattro mesi prima, a San Gimignano, in provincia di Siena, dove un agente si è ucciso in auto dopo essersi sincerato che le portiere fossero ben chiuse. È una strage silenziosa, continua, taciuta, quella di chi si toglie la vita tra chi appartiene alle forze dell’ordine. E quasi tutti, addirittura nell’80 per cento dei casi, scelgono di farla finita premendo il grilletto della propria arma d’ordinanza.
A dimostrazione che l’accesso a strumenti letali è tra i «fattori incidenti», considerati dagli psichiatri nella valutazione clinica del rischio di suicidio, oltre ovviamente a particolari situazioni lavorative di stress. Come certamente quello di lavorare in un istituto penitenziario, ma anche di mantenere l’ordine pubblico durante una manifestazione o allo stadio. Che la situazione non sia monitorata e che, anzi, soffra ancora oggi di un certo imbarazzo istituzionale che rallenta la prevenzione del fenomeno è dimostrato dal fatto che non sono mai stati resi pubblici studi e analisi per capire portata e dimensione. Ad eccezione dell’Arma dei carabinieri, siamo ancora al punto di partenza, o quasi. La data spartiacque è il 15 settembre 2016, quando l’allora sottosegretario all’Interno Domenico Manzione diffuse per la prima volta alcuni dati ufficiali aggregati dei suicidi tra le forze di polizia, ferme al quinquennio 2009-2014. In media 12 suicidi all’anno: 62 sono stati quelli tra gli agenti di polizia, 92 tra i carabinieri, 45 nella guardia di finanza, 47 tra i poliziotti penitenziari, otto tra i militari dell’ormai sciolto corpo forestale.
Per il quinquennio successivo bisogna affidarsi all’Osservatorio dell’associazione Cerchio blu che con precisione certosina cerca di offrire dati il più possibile completi. E così arriviamo al biennio 2015-2016 quando i suicidi sono stati in tutto 66, suddivisi in 34 nel 2015 e 32 nel 2016. Insomma, tra il 2010 e il 2016, ben 255 agenti si sono tolti la vita. Un numero preoccupante, visto che la percentuale è doppia rispetto alla media di suicidi nella popolazione civile italiana. Le nostre forze di polizia rischiano di avvicinarsi a situazioni gravi di altri Paesi europei. È il caso della Francia, dove negli ultimi vent’anni si sono contati costantemente tra i 60 e i 70 suicidi ogni dodici mesi, a fronte di una dozzina di agenti rimasti uccisi in scontri con la criminalità. Per esempio, nei primi 11 mesi del 2018, 61 sono gli appartenenti a polizia e gendarmeria che si sono tolti la vita. Una situazione drammatica soprattutto per la gendarmeria, dove il numero di suicidi è di fatto raddoppiato: 31 morti contro i 16 dello stesso periodo del 2017, in un organico complessivo di 100 mila unità. È difficile arginare questo rischio suicidio per il numero di variabili a cui sono esposti i membri delle forze dell’ordine. Purtroppo, sia in Italia sia in Francia, si incontrano problemi per organizzare una prevenzione che sia davvero efficace. Anche introdurre servizi di psicologia appropriati, che rendano più capillari e frequenti quelli già offerti, non è semplice. Le difficoltà derivano da mancanza di fondi e scetticismo. Insomma, siamo ancora all’inizio di un cammino che, scorrendo le statistiche, si impone sempre più con urgenza. (G.Nu.)

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