Televisione
July 07 2019
Li avevamo lasciati abbracciati durante il gran ballo della scuola, negli attimi conclusivi della seconda stagione, intenti a scambiarsi un bacio impacciato, giusto abbozzato. Li ritroviamo nelle primissime sequenze della terza parte: Eleven e Mike, due dei personaggi principali di Stranger Things, hanno messo da parte ogni residuo di timidezza e si lanciano in effusioni nella cameretta di lei, mentre lo sceriffo Jim Hopper si dispera in salotto per l’eccesso di confidenze verso la figlia adottiva.
L’innocenza perduta è il tema chiave dei nuovi otto capitoli della serie, disponibili su Netflix a partire dallo scorso 4 luglio: non perché i giovani protagonisti compiano chissà quali azioni nefande. Semplicemente, sono cresciuti: non sono più bambini. Si cimentano con i tumulti dell’adolescenza: i brufoli che spuntano in faccia, il desiderio di appartarsi con le ragazze anziché la voglia di giocare con gli amici a Dungeons & Dragons o a qualche altro passatempo dell’infanzia. Nemmeno la quieta Hawkins, il luogo in cui si snoda la trama, è più la stessa. Anzi, è fin troppo desertica nel centro cittadino, perché in periferia ha aperto un gigantesco centro commerciale, un trionfo di negozi, cinema e ristoranti, luci e fontane. Una calamita del consumismo che ha fagocitato le storiche attività locali. In questo clima di cambiamenti, caldo e sudaticcio giacché siamo all’inizio dell’estate, i brividi si addensano all’orizzonte: c’è una grande minaccia che incombe e, come da tradizione, il solito sfortunato Will sarà il primo a sentirsela addosso, ad avvertirne la minacciosa, rivoltante presenza.
L’idea dei creatori, i fratelli Duffer, è stata quella di sommare gli elementi delle prime due parti per ottenere un mix accattivante: «La prima stagione metteva al centro l’avventura, la seconda enfatizzava l’aspetto horror. La terza combina entrambe le cose. C’è tutto: divertimento e paura» ha raccontato in un’intervista Finn Wolfhard, l’attore che interpreta Mike. Come pure ci sono i tanti riferimenti nostalgici della serie, quelli che poi hanno costituito la sua inesauribile fonte di successo globale. Solo nei minuti iniziali del primo episodio, la camera scorre davanti a una musicassetta di Bryan Adams, a un episodio alla tv di Magnum, P.I. e a un film di zombie del regista George Romero.
Più che catene di omaggi, sono gli elementi cardine dell’estetica di Stranger Things, che alla terza stagione non sa di accumulazione furba: raggiunge una maturità imprevista, una coerenza totale. È come se la serie fosse diventata parte essa stessa della cultura pop degli Anni Ottanta, rappresenti una via d’ingresso privilegiata a un passato ritrovato. Una macchina del tempo virtuale su cui salire in qualunque momento, accendendo uno schermo e premendo il tasto play.
L’impronta rétro di Stranger Things, oltre ai fan di tutto il mondo, ha sedotto anche i grandi brand della moda. Nike ha creato una capsule collection celebrativa della serie che comprende felpe, t-shirt e sneaker. Mentre H&M, fedele al mood estivo della terza stagione, ha tirato fuori un’intera linea di prodotti per la piscina o per il mare: per lui, una canotta con un impiego di tessuto davvero tirchio (consigliabile a chi ha i muscoli di Billy o una piena accettazione del proprio corpo). E poi magliette, costumi da bagno, cappellini, persino un telo da spiaggia e un paio di ciabatte. Per lei, bikini, slip, una tuta corta. Vestirsi in modo identico ai propri eroi sullo schermo è semplice, economico (la media è tra i 10 e i 20 euro a prodotto), ma non scontato. Alcuni articoli, infatti, stanno andando a ruba. La richiesta è mostruosa, farebbe paura persino al Demogorgone. Intanto, gli stessi attori protagonisti vengono corteggiati dai marchi storici dell’universo fashion: Finn Wolfhard, l’ormai non più piccolo Mike, è nella campagna autunno-inverno 2019 di Saint Laurent accanto a titani del cinema come Keanu Reeves. Visto l’appeal della serie, non è affatto una «stranger thing».