Stellantis vince. La Commissione europea e la giustizia fiscale perdono

La cifra è modesta, cinquemila volte più piccola del giro d’affari del gruppo Stellantis. Ma rappresenta un duro colpo contro gli sforzi della Commissione europea per combattere le furbizie fiscali delle multinazionali e la concorrenza sleale di alcuni Paesi dell’Unione. Gettando un’ombra sulle sue prossime battaglie.

Martedì 8 novembre la Corte di giustizia europea, che a sede in Lussemburgo e il cui compito è garantire che il diritto dell'Ue venga interpretato e applicato allo stesso modo in ogni Paese dell’Unione, ha stabilito che Fiat Chrysler, ora parte del gruppo Stellantis, non dovrà restituire 30 milioni di euro di tasse al Lussemburgo. Si tratta di una vicenda che risale al 2015: quell’anno il capo dell'antitrust europeo Margrethe Vestager aveva accusato il Lussemburgo di aver concesso a Fiat Chrysler un vantaggio fiscale sleale, approvando metodi artificiali e complessi che hanno abbassato artificialmente le tasse della società. In quell’occasione Vestager aveva spiegato che i provvedimenti fiscali che “riducono artificialmente l'onere fiscale di una società non sono in linea con le norme dell'Ue sugli aiuti di Stato. Sono illegali". Nel 2019 un tribunale di grado inferiore aveva appoggiato la sua decisione.

Ma martedì è arrivata la doccia fredda, con l'organo giurisdizionale supremo dell'Ue che non ha condiviso la sua sentenza. Secondo la Corte di giustizia "solo il diritto nazionale applicabile nello Stato membro interessato deve essere preso in considerazione per identificare il sistema di riferimento per l'imposizione diretta, essendo tale identificazione un prerequisito essenziale per valutare non solo l'esistenza di un vantaggio, ma anche la sua natura selettiva”. La sentenza è definitiva e non può essere impugnata. La Vestager ha dichiarato in un tweet che la sconfitta è "una grande perdita per l'equità fiscale". In seguito ha aggiunto che la Commissione "studierà attentamente la sentenza e le sue implicazioni". Stellantis ha affermato in un comunicato di essere lieta che la Corte abbia confermato la tesi della casa automobilistica secondo cui la Commissione ha sbagliato a considerare il provvedimento fiscale come un aiuto di Stato illegale.

La decisione della Corte è una batosta per la Commissione che da anni sta cercando di contrastare le politiche fiscali aggressive delle grandi imprese, le quali hanno molto più a cuore gli interessi dei propri azionisti rispetto a quelli dei contribuenti, essendo in genere quotate in borsa. Già negli anni scorsi Bruxelles ha dovuto incassare alcune amare sconfitte. Come ricorda il Financial Times, nel 2020, i giudici hanno annullato un ordine della Commissione europea che imponeva ad Apple di restituire 14,3 miliardi di euro di tasse all'Irlanda. La Commissione ha perso anche una causa fiscale contro Amazon. Entrambe le aziende hanno vinto le sfide per il rimborso delle agevolazioni fiscali presso un tribunale di grado inferiore, ma la Commissione sta facendo ricorso contro le decisioni. La sentenza finale è attesa non prima dell'anno prossimo. Non solo. I giudici del Lussemburgo hanno annullato anche l'ordine a Starbucks di pagare 30 milioni di euro di tasse arretrate ai Paesi Bassi, una sentenza che Bruxelles non ha impugnato.

Questi insuccessi non sono incoraggianti per le indagini in corso: come quelle sulle agevolazioni fiscali concesse a Ikea e Nike nei Paesi Bassi e all'azienda di imballaggi Huhtamaki in Lussemburgo, oltre alle inchieste sulle decisioni fiscali del Belgio su 39 multinazionali. Si stima che l’Europa perde più di 35 miliardi di euro all'anno a causa dell'elusione fiscale delle imprese. Italia compresa.

I progetti di regole internazionali sulle aliquote fiscali minime per le multinazionali sono in discussione da anni, ma non hanno ancora prodotto risultati. Ed è probabile che se non ci sarà un accordo per far sì che le più grandi aziende del mondo paghino tasse eque nel luogo in cui operano, l'Ue riprenderà i colloqui per introdurre un'imposta sulle aziende digitali. L'anno scorso, quasi 140 Paesi hanno concordato un'imposta societaria minima globale del 15% per tenere meglio conto dell'emergere di grandi aziende digitali che possono registrare i profitti in Paesi a bassa tassazione, realizzando la più grande revisione delle norme fiscali transfrontaliere in una generazione. I Paesi stanno ora elaborando piani per trasformare l'accordo in legge.

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