Sangue, ossessione e tradizione: il Discorso sulla licantropia di Beavoys de Chauvincourt

Più che un’ossessione, un incubo. “Sgozzano cani e bambini e li divorano con molto appetito, camminano a quattro zampe, ululano come lupi veri, hanno una bocca ampia, occhi di fuoco, zanne acuminate”.

Lo avrete capito: sono i licantropi. Ma la descrizione non arriva dal cinema o dalla fiction contemporanea. Porta la firma del demonologo francese Pierre Delancre, morto a Parigi nel 1630. Una delle tante conferme che il “loup-garou” ha una lunga e consolidata tradizione, che affonda la sua origine diversi millenni fa.

Due esempi su tutti. Il primo, dell’antico Egitto, riguarda la figura del dio Anubi, non a caso raffigurato come uno sciacallo, con corpo umano e testa canina. Il secondo, dell’antica Grecia, è meno noto e coincide con la rappresentazione della lupa Mormolice, incubo di madri e bambini  perché in grado di mutilare e azzoppare i bebè.

A rievocare la lunghissima ( e seducente) storia della trasformazione degli uomini in lupi è ora un libretto da poco pubblicato nella collana “La coda di paglia” edita da La Vita Felice.

Una presentazione, dicevamo, ad un trattatello mai pubblicato in Italia e intitolato Discorso sulla licantropia . A scriverlo, nel 1599, fu Jean Beauvoys de Chauvincourt. Il pamphlet, curato da Laura Nicora e con testo francese  a fronte, rivela le credenze ataviche nei confronti appunto degli uomini-lupo. Ma è godibile e prezioso anche per un altro motivo, quello cioè di rivelare l’importanza dell’ossessione collettiva in una società.

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