Tecnologia
November 14 2015
C’è altro dolore di gente qualunque accanto agli orrori di Parigi. È quello di sradicati, rifugiati, profughi, chiunque scappi dalle rovine di un Paese in guerra o sotto lo scacco del terrore. Al di là delle soluzioni politiche, di carità e solidarietà internazionali, possono trovare un alleato inaspettato nella tecnologia.
Ci sono start-up come «What3Words», che offrono strumenti semplici per aggiornare e indicare con certezza la loro posizione in ogni punto del mondo, così i loro cari possono sapere dove sono, mentre chi deve aiutarli ha coordinate esatte per raggiungerli. Non è superfluo: il 75 per cento del pianeta non ha un indirizzo o quell’indirizzo è poco chiaro. Quattro miliardi di individui rischiano di rimanere invisibili perché non localizzabili.
Ci sono colossi tipo Ibm, che affiancano organizzazioni umanitarie no profit come Intersos a trasferire le cartelle cliniche dei migranti nel cloud tramite una app e ad accompagnarli nel loro pellegrinaggio da una terra all’altra. Così chi deve curarli sa come senza ricominciare le analisi daccapo.
Sono stati questi alcuni dei tanti protagonisti, accanto a nomi in prima fila nell’emergenza come Croce Rossa e Save the Children, di «Techfugees Italy». Organizzata in H-Farm, è la costola nostrana di un’iniziativa londinese nata allo scopo di applicare soluzioni di ultima generazione per gestire meglio, in ogni senso, i flussi migratori. Coinvolgendo programmatori e onlus, designer di software ed esponenti delle istituzioni. Tutti intorno allo stesso tavolo, anzi davanti alla medesima platea, per ragionare e mettere le basi di progetti futuri. Anche sulla scia di quelli già in piedi che hanno dimostrato la loro efficacia.
«Se devo pesare il valore dell’iniziativa, posso dire che riuscire a coinvolgere comunità di solito così distanti tra loro è stato il primo successo» spiega a Panorama.it Benedetta Arese Lucini, l’organizzatrice dell’evento. «In un futuro neanche troppo lontano» aggiunge «si possono raggiungere grandi obiettivi, inserendo applicazioni e soluzioni digitali nei campi di accoglienza, facendoli diventare parte integrante del lavoro delle onlus». Il coinvolgimento di aziende come Paypal, Amazon, Vodafone e la già citata Ibm pare un buon segnale. Hanno il know-how e la disponibilità economica per impegnarsi e fare la differenza.
«Forse tre parole» continua Lucini «hanno fatto da filo conduttore: connessione, comunicazione e comunità». Connessione perché i campi hanno bisogno di scambiarsi informazioni tra loro in tempo reale per risolvere eventuali situazioni di sovraffollamento. Comunicazione perché molti migranti sono solo di passaggio in Italia, spesso puntano a raggiungere i Paesi del Nord Europa e ricongiungersi con i loro cari. Stimolarli a interfacciarsi con i contatti che hanno nel Vecchio Continente può essere decisivo. Comunità, perché bisogna curarli e assisterli al meglio. «Per quanto possano essere visibili nei campi d’accoglienza, tali concetti sono anche la base di molte start-up. Alla fine si scopre che i due mondi non sono tanto lontani».
«Questo evento» conclude Lucini «ha promosso due principi in cui credo e che ho sempre sposato: la tecnologia facilita e non sostituisce la professionalità delle persone e quindi bisogna promuoverla invece che ostacolarla; la comunità reagisce sempre più velocemente al cambiamento rispetto alle istituzioni e l’innovazione nasce sempre da iniziative popolari. Che siano nuove forme di lavoro, nuovi modi di comunicare o nuove soluzioni per aiutare le organizzazioni coinvolte nelle emergenze umanitarie. Le istituzioni devono quindi essere visionarie abbastanza da cogliere questo cambiamento e creare un framework legislativo che lo facilita e protegge chi rimane più debole».