Resistere a Kabul, nonostante tutto

Un’autobomba esplosa nel quartiere dove abito, di prima mattina.  L’edificio dove dovrei aprire la scuola che cade a pezzi, dove non c’è acqua, elettricità o riscaldamento. Due insegnanti che se ne vanno, ancora prima di cominciare. La stufa che si rompe e io che finisco per dormire con il cappotto addosso, tant’è il freddo di questi ultimi giorni.

Questo potrebbe essere il bilancio della mia prima settimana a Kabul. Non manca davvero nulla, non c’è che dire.

Il lavoro per aprire The Qessa Academy – la scuola per cantastorie – si sta rivelando molto più difficile di quanto previsto: tra burocrazia, inerzia e lassismo generale, si fa spesso fatica a capire che strada imboccare, e il tempo sembra dilatarsi all’infinito per ogni piccola cosa.

Eppure, solo tre anni fa, mi sembrava tutto molto diverso qui. Forse perché lavoravo all’ONU e avevo tutto più semplice, mentre adesso mi tocca fare da sola. O forse perché mancano ormai meno di dieci giorni all’apertura della scuola, e mi sento come in un turbinio di cose da fare, con liste infinite e giornate lavorative troppo brevi. Anche se inizio alle otto del mattino e finisco ben dopo la una di notte.

Non posso mollare proprio adesso però, non voglio. Ci ho messo tre anni a recuperare i fondi necessari per il progetto, e non è il momento di gettare la spugna. Almeno, non ancora.

E allora, mi preparo come meglio posso per domani: nuova settimana, nuove sfide. Tra banchi da far fare e materiale vario da acquistare, lezioni da preparare, inviti da spedire e cerimonia di apertura da organizzare. Sperando di riuscire a fare tutto, con un po’ di pazienza.

Già, pazienza… questa è la volta buona che imparo cos’è.

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