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Protesta dei forconi: l'uomo in rivolta

Dopo un governo tecnico che chiedeva lacrime e sangue all’unisono con un’ Europa capace di tutelare solo gli interessi della finanza, e un anno di larghe intese dove le sole intese attuate sono quelle che riguardano la salvezza di partiti atrofizzati, non poteva che scoppiare la rivolta sociale.

Mentre in altri Paesi i segni della ripresa ci sono, in Italia le aziende chiudono e le persone si suicidano perché non ce la fanno. E quando a scendere in piazza non sono i sindacati o i partiti con i loro militanti e l’apparato, ma sono i cittadini comuni uniti al di là delle parti, la politica deve fare un passo concreto e reale verso di loro.

Non un passo di forza e contrasto ma un passo di ascolto attivo al quale deve seguire l’immediata volontà di cambiare marcia.

La gente è stanca della mancanza di pulizia e trasparenza della classe politica, dei giochi di palazzo, dei favoritismi alle banche e alle lobby, della tutela incondizionata verso chi sbaglia anche a discapito dei cittadini onesti. E’ stanca di essere trattata come “cosa”, di essere “usata”. Di essere presa in giro, laddove, per esempio, si afferma di aumentare il netto in busta paga per poi accorgersi che con quel netto riesci a comprarci a malapena un filetto e neanche quello, perché dall’altra parte diminuiscono le detrazioni fiscali per 20 euro in più di quanto ti hanno dato.

Se è vero che la storia è circolare, sottovalutare questa protesta cercando di sedarla con la forza non può che alimentarne il lato bestiale. E’ questo che vogliamo? Lacrime e sangue veri? Nel nostro paese raramente i cittadini comuni scendono in piazza. Quasi mai si vedono insieme persone che hanno ideologie opposte. Ed è qui la prima rivoluzione alla quale stiamo assistendo.

L’uomo in rivolta “agisce in nome di un valore, ancora confuso, ma che avverte, almeno, di avere in comune con tutti gli uomini”. Queste parole di Albert Camus, tratte dal testo “L’uomo in rivolta”, dovrebbero fare riflettere questa politica avida e autoreferenziale.

La protesta dei forconi, pur nel suo caotico svolgersi e nelle altrettanto caotiche richieste, non è altro che questo: il recupero del valore perduto “umanità”, dove per umanità s’intende la capacità di sentire l’altro come se stesso, parte di un insieme che vive e soffre allo stesso modo e ha deciso di percorrere una strada comune per progredire. Gli uomini e le donne di questo paese stanno imparando a unirsi in un corpo solo, diviso nel tempo da un capitalismo sfrenato che invece di servirci per donarci più libertà, ci ha rinchiusi in una gabbia dalla quale adesso vogliamo uscire.

La Nazione è allo stremo delle sue forze. La gente non può più aspettare un domani sempre più incerto. La protesta dei forconi non va punita se non laddove ci sono frange violente e spesso infiltrate, né va stigmatizzata nei modi. Va compresa nelle ragioni profonde di una popolazione schiacciata dal potere economico e dall’epurazione di quella personalità individuale che lo Stato dovrebbe aiutare ognuno a sviluppare, come vuole la nostra Costituzione all’articolo 3.

Chi scende in piazza oggi lo fa perché ha fame. Fame vera, perché lo stipendio o la pensione non bastano per mangiare. Ma anche fame di giustizia, di verità, di pulizia, di legalità a ogni livello sociale, di quel rispetto per il popolo che viene chiamato populismo da chi non sa che adorare se stesso.
La protesta aumenterà, saranno sempre di più le persone che si uniranno spontaneamente ai primi che hanno avuto il coraggio di scendere nelle strade per affermare le proprie ragioni. Per adesso è solo una rivolta, che però non deve negare a chi non vi partecipa la libertà di restarne fuori.

Qualunque sia la ragione del rifiuto. Non è minacciando chi vive le stesse condizioni che si cambia il mondo, se è vero che le minacce ci sono state. La protesta è contro le istituzioni, allora è lì che si deve andare. A loro va creato quel disagio che si sta indirizzando verso altri cittadini. Non per distruggere però, ma per costruire. Nella distruzione abbiamo tutti da perdere qualcosa. Nessuno escluso. Sia invece obbligata la politica a scendere tra la gente. Ma non con la violenza, bensì con la costanza, il dialogo, la forza dell’unione, della moltitudine e della ritrovata umanità che hanno spinto le persone a questa protesta storica. E’ lì, tra i cittadini, sulla strada della vita, che la politica dovrebbe mettersi metaforicamente in ginocchio, davanti a quel popolo che deve servire.

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