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Prendere il sole fa bene

Ai primi caldi, semisdraiate sul balcone condominiale, le signore degli anni ‘80 esponevano il viso tenendo sotto il collo quel tipico «specchio» di carta stagnola che concentrava, con una certa furia, i raggi solari in pieno volto. Un acceleratore artigianale per ottenere in poche ore «la tintarella» da città. In spiaggia, si faceva lo slalom tra l’indimenticabile odore di cocco protezione zero e gli oli superabbronzanti che avvolgevano innumerevoli corpi fritti al sole. Pare un secolo fa.

Nel giro di pochi anni il culto estivo del sole ha visto diminuire i suoi seguaci e aumentare una schiera di diffidenti che lo guardano con sospetto, o lo accettano a piccole dosi ostentando al massimo una gentile coloritura. E sugli scaffali è il trionfo di creme total block, protezione 50+, schermatura 100. Forse abbiamo esagerato.

La moda di iperproteggerci dal sole non è così salutare come, ultimamente, ci hanno ripetuto esperti, dermatologi, studi scientifici e articoli di giornale. È vero, troppo sole aumenta il rischio di tumore cutaneo; sono pericolose soprattutto le scottature durante l’infanzia, quando le cellule hanno un grande potere proliferativo, e quelle prese in media ogni due anni, che pare triplichino il rischio di melanoma. È vero, preso senza criterio invecchia, fa venire rughe e macchie.

Ma il sole, in sé, non è un nemico. È ora di sospendere le ostilità.

«Let the sunshine in» (lasciate entrare il sole) è il titolo di copertina del settimanale New Scientist, per esempio. Con un allarme, per così dire, rovesciato: a furia di schermare i suoi raggi, avvertono ora gli esperti, ci ritroviamo con una carenza di vitamina D, quella che, per essere prodotta dall’organismo, ha bisogno dell’esposizione diretta al sole. E se in circolo ne abbiamo poca, cominciano i guai.

L’esempio più eclatante viene dall’Australia. Ricordate il buco nell’ozono (che poi si «ricucì» dopo la messa al bando dei clorofluorocarburi)? I più vulnerabili ai raggi erano proprio gli australiani sia per la latitudine sia per il colore molto chiaro della pelle, e i casi di melanoma stavano effettivamente aumentando. Da lì è partita la crociata anti-sole, con un ritornello scioglilingua che trovate facilmente online, cantato da un petulante gabbiano animato: slip slop slap seek and slide. Ossia: spalmati di crema, indossa la maglietta, mettiti il cappello, inforca gli occhiali da sole e mettiti all’ombra.

Una sorta di nevrosi che ha portato, in Australia ma non solo, a un deficit generale di vitamina D. «Tra i miei pazienti non ce n’è uno che abbia livelli di vitamina D nella norma» conferma Antonio Costanzo, responsabile di Dermatologia all’Istituto Humanitas di Rozzano. «Non so quanto dipenda dal fatto che sono state alzate le soglie, ma sono tutti sotto i valori consigliati». Per intenderci, la quantità nell’organismo di vitamina D considerata ideale è 40 unità (20-25 nanogrammi per millilitro), praticamente siamo quasi tutti sotto i 20, se non sotto i 10.

Il che vuol dire, almeno potenzialente: ossa e denti più fragili, infezioni, disturbi cardiovascolari, depressione, rischio di infertilità. E possibili squilibri delle difese immunitarie. «Il sole influisce sul sistema immunitario in due modi» dice Costanzo. «Tramite la vitamina D favorisce la produzione di peptidi, sostanze chimiche che hanno una potente azione antimicrobica, mille volte superiore alla penicillina: non solo uccidono i batteri, ma al sistema immunitario dicono “attenzione, c’è qualcosa che non va”».

Il secondo modo con cui il sole è un alleato delle nostre difese, e questa è una scoperta recente (fatta da un team del Georgetown University Medical Center), è attraverso la sua cosiddetta «frazione blu», che riesce a penetrare più in profondità, nel derma. «Lì ci sono tanti linfociti T, le cellule sentinella fondamentali per il sistema immunitario» continua Costanzo. «L’anno scorso lo studio dei ricercatori americani, apparso su Nature scientific report, ha mostrato che la componente blu dello spettro solare aumenta la capacità di muoversi dei linfociti T e la loro produzione di perossido d’idrogeno». E il perossido di idrogeno è l’acqua ossigenata, quindi un antibatterico. Esposizioni alla luce blu dello spettro solare potrebbero essere un modo per contrastare le infezioni.

A dirla così, sembra che il sole sia una specie di farmaco naturale. L’idea non è mica sbagliata. «Un’altra ricerca apparsa su Science ha dimostrato che esporsi alla luce solare abbassa in maniera significativa la pressione arteriosa» dice Costanzo. L’effetto anti ipertensivo del sole è confermato da alcuni esperimenti del dermatologo Richard Weller dell’Università di Edimburgo (come riporta New Scientist). A inizio carriera, come altri suoi colleghi, Weller era convinto che i raggi solari fossero in gran parte nocivi (peraltro non discute che siano, presi in eccesso, un fattore di rischio per il tumore cutaneo). A fargli cambiare idea è stata la constatazione, fatta al Karolinska Institute su 30 mila donne seguite per 20 anni, che chi evita il sole ha una ridotta aspettativa di vita per malattie cardiovascolari.

Lavorandoci su, Weller ha constatato che l’organismo produce e accumula nella pelle monossido di azoto, un potente dilatatore dei vasi sanguigni attivato proprio dai raggi UV. Questo spiegherebbe anche perché d’estate la pressione si abbassa, e perché i disturbi cardiovascolari sono più frequenti nei Paesi del Nord. Esponendo alcuni volontari al sole estivo di mezzogiorno, per 20 minuti, Weller osservò che la loro pressione si abbassava, e il calo continuava per un certo periodo di tempo anche dopo l’esposizione ai raggi.

Carenza di vitamina D ed eccessiva diffidenza nei confronti di Uva e Uvb ci stanno trasformando in esseri pallidi, con ossa fragili, cuore a rischio, un senso generico di down? È probabile. Il legame tra depressione, livelli di serotonina e raggi solari, per esempio, è ormai assodato. Il sole favorisce la produzione di serotonina, neurotrasmettitore che regola il tono dell’umore; e per chi soffre di «disordine affettivo stagionale», in altre parole all’arrivo dell’autunno si sente ansioso, depresso, insonne e diventa insopportabile a sé stesso e agli altri, pare efficace la light therapy o fototerapia: immersione in una sorgente di luce che simula l’illuminazione del sole. Ai depressi clinici non serve a molto, ma funziona sui malinconici affetti da «winter blues».

Per recuperare benessere e vitamina D, però, in fondo basta poco. «Ognuno di noi ha una sua capacità di sintesi della vitamina D, che dipende dai geni, dagli enzimi, dal metabolismo» premette Maria Luisa Brandi, professore ordinario di Endocrinologia all’Università di Firenze. «Per averne una quantità adeguata, dalla primavera in poi, conviene passeggiare mezz’ora al giorno nelle ore più calde esponendo braccia, gambe e viso».

Per evitare insidiose scarsità di una vitamina così importante, è indicato assumere degli integratori? Discorso cui non si può rispondere con un monosillabico sì o no. «Attenzione a non far diventare la carenza di vitamina D un’epidemia, incoraggiandone alti dosaggi come avviene negli Stati Uniti» avverte Brandi. Gli americani, in questa come in altre cose, si dimostrano i soliti fanatici. «Negli Usa si nutrono di supplementi di vitamina D, che lo Stato non passa. Se la fanno misurare tutti, è ormai la prima voce negli esami di dosaggio. E per le assicurazioni è diventata un costo pazzesco».

I supplementi di vitamina D, prima di precipitarsi in farmacia, hanno senso per le donne in menopausa, che ne sono carenti, e per gli anziani, che hanno ossa fragili. Per tutti gli altri basta camminare sui prati, in spiaggia, per i meno fortunati anche in città. Via il cappello e viso al sole. Prima ancora che il nostro organismo inizi a produrla, come una fabbrica diligente, quel tepore ci darà attimi di piccola ma innegabile felicità.
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