Popolare Vicenza e Veneto Banca: un warrant per gli azionisti

Basterà una promessa per convincere gli azionisti di Banca popolare di Vicenza e di Veneto Banca a rinfoderare le cause che potrebbero far saltare i loro istituti? Lo sperano gli amministratori delle due grandi malate del credito del Nordest, che per rendere più appetibile la proposta di ristoro parziale delle perdite si preparano a mettere sul piatto anche qualcosa di nuovo: un warrant, ossia uno strumento finanziario quotato in borsa il cui valore è legato a un risultato futuro.

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Gli sventurati 170 mila correntisti individuali che dal 2007 in poi si sono lasciati convincere ad acquistare (allo sportello) azioni dei due istituti hanno già ricevuto una proposta di conciliazione. Se rinunceranno alle azioni civili per risarcimento danni che pendono come una spada di Damocle sul futuro delle due banche (scoraggiando qualunque potenziale nuovo investitore) otterranno in cambio una parte di ciò che hanno perso: il 15 per cento per gli azionisti di Veneto Banca e 9 euro per azione, corrispondenti più o meno alla stessa percentuale, per quelli di Popolare di Vicenza. Il tutto, a condizione che ci si avvicini almeno all’80 per cento di sì.

Per chi ha visto svanire di colpo i risparmi di una vita non è una gran soddisfazione, ma l’alternativa è imbarcarsi in una lunga e costosa battaglia legale con il rischio di non vedere alla fine neppure un euro. Dunque la gente ci sta pensando, anche se non con lo slancio che vorrebbero i vertici dei due istituti (e del fondo Atlante che li ha acquisiti e a cui andrà il risultato della loro futura fusione). A fine gennaio si è parlato di un 30 per cento di adesioni, ma pare si viaggi intorno al 24-25. E poiché l’offerta scade a metà marzo, il rischio di scenari catastrofici non è affatto scongiurato, tanto più che nel 2016 le due banche hanno accusato la fuga di circa un terzo dei depositi. Insomma, c’è anche il problema di frenare l’emorragia dei clienti.

Da qui l’idea del warrant, cui il presidente di Popolare di Vicenza, Gianni Mion, ha accennato genericamente in un’intervista del 28 gennaio sul Messaggero Veneto. La proposta vera e propria, a quanto risulta a Panorama, arriverà nell’arco di due o tre settimane. Si tratterà di un derivato legato al grado di recupero dei crediti sofferenti, a cui oggi il mercato riconosce un prezzo pari a poco più del 20 per cento del valore: se all’atto pratico si riuscirà a superare questo livello (cosa più probabile con una gestione interna piuttosto che con la cessione dei crediti a terzi) il maggior incasso andrà a migliorare l’offerta già fatta agli azionisti. Cosa che potrebbe avvenire tuttavia solo dopo la quotazione in borsa della futura banca veneta, il che significa non prima di due o tre anni.

Basterà agli azionisti gabbati? Difficile fare previsioni. «L’unica cosa certa» dice il vicepresidente dell’Associazione dei soci delle banche popolari venete Francesco Celotto «è che l’angoscioso dilemma terrà banco d’ora in poi nelle case di decine di migliaia di famiglie, che solo ora cominciano ad assimilare davvero la realtà di una perdita economica così importante». Per un travaglio del genere difficilmente potrà bastare il mese scarso che ci separa dalla metà di marzo. Non per niente la proposta presentata dalle due banche si riserva un prolungamento dei termini fino al 30 giugno e la voce che circola nelle sofferte assemblee dei risparmiatori di questi giorni e che lo slittamento ci sarà di sicuro.

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