Antonio Razzi
ANSA/ALESSANDRO DI MEO
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La politica degli strafalcioni

«L’importante è che i bandi non si interrompino». Appena il nuovo segretario del Pd Nicola Zingaretti, al suo comizio d’esordio, è scivolato sul congiuntivo, gli italiani hanno tirato un sospiro di sollievo: meno male, non è cambiato nulla. Zingaretti ha voluto rassicurarci, dando un segnale di continuità con il recente passato. E per questo, a stretto giro, si è ripetuto: «Lasciate che le notizie corrino», ha detto. E subito dopo ha dimostrato di avere le idee chiare anche sul futuro, parlando di «livelli che non c’era tra dieci anni». Così noi ci siamo definitivamente tranquillizzati: forse la nuova politica non riuscirà mai a cambiare le regole dell’Italia. Però, almeno, sta provando a cambiare le regole dell’italiano.

Un impegno senza soste. «Sarò breve e circonciso», ha proclamato per esempio il deputato Cinque stelle Davide Tripiedi. «Mi facci finire», ha aggiunto Alessandro Di Battista. «Mi facci parlare», ha ribadito Matteo Renzi. «Vadano avanti, concorrino al clima di pacificazione», ha sentenziato Pierferdinando Casini. E l’attuale vicepremier Di Maio è riuscito a correggere tre volte un tweet sbagliando sempre il congiuntivo: «C’è il rischio che soggetti spiano», «C’è il rischio che soggetti spiassero», «C’è il rischio che le istituzioni venissero spiate». Per non dire di quando, durante una trasmissione televisiva, gli chiesero del sindaco Raggi. E lui: «Ora la telefono».

Ma su questi strafalcioni è stata fatta fin troppa ironia. Ora, invece, che Zingaretti sbaglia il congiuntivo o dice «mi hanno imparato», non ne parla quasi nessuno. Come mai? Semplice: il nuovo segretario Pd si è presentato come il volto serio, quello dell’apparato, il ritorno alla ditta antica, la restaurazione di chi sa far politica davvero contro gli incompetenti di oggi, quelli che pensano che Napoleone abbia combattuto ad Auschwitz anziché ad Austerlitz (Di Battista), che Pinochet sia stato dittatore del Venezuela (ancora Di Maio), che migrante sia un gerundio (Salvini) e Dublino in Inghilterra (Meloni). Fermi tutti: ritornano quelli bravi. Quelli di una volta. E che nessuno li interrompi.

Ma in realtà le scivolate grammaticali di Zingaretti non fanno altro che togliere la maschera a una delle narrazioni più sfruttate dell’ultimo periodo, e cioè proprio questa, quella della presunta inferiorità culturale della Terza Repubblica. Perché se è vero che di recente gli onorevoli (si fa per dire) non ci hanno risparmiato nulla, dall’«egidia dell’Onu» (Roberto Fico) alle «traccie della maturità» (Valeria Fedeli da ministro dell’Istruzione), non è che qualche anno fa se la cavassero meglio. Basta ripensare alle indimenticabili risposte date dai parlamentari interrogati dalle Iene davanti a Montecitorio: che cos’è il Darfur? Un fast food. E il Papa? Si chiama Bonifacio. Quando è stata scoperta l’America? Nel 1892. O forse nel Quaranta. Ma di che secolo? E chi lo sa. Roba che al confronto la celebre citazione storica di Berlusconi («Roma? Fondata da Romolo e Remolo») è da Premio Acqui Storia.

D’altra parte anche la ormai rivalutata Prima Repubblica non era, da questo punto di vista, tanto superiore. Il papà di tutti i cronisti parlamentari, Guido Quaranta, da poco scomparso, dedicò un libro meraviglioso agli onorevoli strafalcioni in bianco e nero, elencando le «accuse respinte all’emittente» e il discorso che andava avanti «ad libidinum», fino ad arrivare naturalmente all’immortale «Scusatemi ho il patè d’animo», che diede il titolo al volume. «Ecco il più grande pederasta d’Italia», disse l’esponente di spicco del Pd novarese: voleva dire «pediatra», ovviamente. Mentre si racconta che quando Giorgio Almirante, durante un comizio, citò Le ultime lettere di Jacopo Ortis, un dirigente del Msi si inalberò: «Chi è che si permette di scrivere al segretario senza il mio permesso?».

Del resto già nel Dopoguerra, Gaetano Invernizzi, partigiano e deputato della prima legislatura, arringava i militanti davanti alle fabbriche della Brianza con citazioni un po’ ardite: «Come sapete, compagni, è più facile che un ago passi per la cruna di un cammello...», disse. Si misero tutti a ridere. E allora lui si corresse: «È più facile che un ricco passi per la cruna dei cieli...». In fondo, come si vede, dal 1948 a Zingaretti, poco è cambiato: passano le Repubbliche, cambiano gli onorevoli e i nomi dei partiti. Ma l’importante è che gli strafalcioni non si interrompino.
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