Perché la Germania ce l'ha con Mario Draghi

L’ira della Germania inizia a farsi sentire. Le nuove misure della Banca centrale europea per contrastare deflazione e stagnazione nella zona euro continuano a far discutere. A Berlino si grida allo scandalo e si guarda con paura a Francoforte. In pericolo - avverte la stampa tedesca - ci sono i risparmi di migliaia di contribuenti. Colpa della politica monetaria di tassi ai minimi storici introdotta da Mario Draghi. Il primo obiettivo del banchiere centrale italiano è quello di convincere, una volta per tutte, il cancelliere tedesco Angela Merkel.

Lo scopo ultimo della Bce è quello di evitare che l’intera eurozona diventi un’area economica in stallo, incapace sia di crescere sia di ridurre gli squilibri fra il centro e la periferia. Per farlo, Mario Draghi ha calato il suo poker. Dal taglio dei tassi alla sterilizzazione del Securities Markets Programme (SMP), passando per due nuove operazioni di rifinanziamento a lungo termine focalizzate (Targeted Longer Term Refinancing Operation, o TLTRO). Saranno oltre 600 i miliardi di euro immessi nel sistema finanziario - 400 dai TLTRO, 160 da SMP, più le altre misure - ma questo potrebbe non bastare. Anzi, potrebbe peggiorare una situazione già precaria. Come ha spiegato Commerzbank in una nota “esiste il timore che la Bce stia contribuendo ad accrescere nuove bolle sui prezzi, come sul mercato immobiliare”. Ed è proprio questo che sta facendo perdere il sonno ai tedeschi.

La verità, come spiega il quotidiano dell’intellighenzia tedesca, Die Zeit, è che Mario Draghi sta perdendo credibilità in Germania. Colpa della politica di tassi ai minimi, che rischia di costare ai risparmiatori tedeschi circa 15 miliardi di euro l’anno in minori interessi. E, come sottolinea la Frankfurter Allgemeine Zeitung, in Germania le imprese non hanno mai avuto così tanta liquidità. Il motivo è semplice, ma si deve leggere come conseguenza di due fenomeni distinti. Da un lato, con tassi così bassi i risparmiatori non sono invogliati a investire nel mercato dei capitali. Dall’altro, le società tedesche continuano ad avere buoni ritorni dalle vendite, ma preferiscono anche loro detenere liquidità, piuttosto che investirla. È il paradosso della BMW, spiega il principale quotidiano tedesco. Vende molto, ha tanta cassa, ma sul mercato ha problemi di domanda. Il mercato dei capitali - in Germania è più evidente che in altri Paesi, ma non è solo una prerogativa teutonica - era bloccato anche prima delle ultime mosse della Bce e sono in tanti gli osservatori, come Berenberg Bank, che ipotizzano un ulteriore peggioramento. “I soldi non mancano, la liquidità è elevata, ma ciò che manca è la circolazione del capitale”, spiega Berenberg.

Jürgen Stark, ex membro tedesco del Consiglio direttivo della Bce, non ha usato mezzi termini per definire lo stato in cui si trova l’Eurotower. “Di fatto, la Banca centrale europea è diventata prigioniera della sua stessa politica”, ha spiegato Stark. Non è difficile capire il concetto dietro a questa dichiarazione. Quando nel luglio 2012 Draghi fece il suo discorso del “Whatever it takes” dalla London Investment Conference, il principale problema della Bce riguardava il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Quest’ultimo era rotto, in quanto ogni azione sui principali tassi d’interesse non riusciva a trasmettersi ad alcuni Paesi. Più Draghi abbassava i tassi, più i tassi d’interesse reali in Italia e Spagna restavano a livelli di insostenibilità per le imprese. Poi vennero le Outright Monetary Transaction (OMT), le operazioni di mercato aperto con cui la Bce può acquistare bond governativi sotto condizionalità. È stato questo il punto di svolta per la crisi dell’eurozona, ma anche la fine del periodo di grandi ritorni sul mercato obbligazionario.

Ancora una volta, tuttavia, il problema originario non era risolto. Da inizio anno a oggi, i tassi a cui le imprese italiane ottengono denaro dal settore bancario è tornato ai livelli del luglio 2012, intorno al 6 per cento. Troppo. In più, la contrazione della domanda interna in diversi Paesi (fra cui l’Italia) ha provocato un brusco abbassamento del livello generale dei prezzi alla produzione. L’ultimo esempio è quello di aprile, in cui i prezzi sono calati dell’1,5% su base annuale. La Bce ha agito per ovviare a questa spirale, ma gli effetti delle azioni di Draghi sono difficili da decifrare. Una banca italiana, in un mercato nel quale i crediti dubbi sono pari a 166,4 miliardi di euro e sono in aumento, cosa deciderà di fare? Anche in presenza di elevata liquidità, tenderà a privilegiare la qualità e non la quantità. Meno finanziamenti, ma più sicurezza. Il tutto svantaggio dell’intero sistema e della credibilità di Draghi.

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