«Pausini fascista». L'ultima follia del politicamente corretto

“Noi, di fascismi ne conosciamo e ne esecriamo uno solo: quello di chi appiccica questa etichetta a qualunque idea o opinione che non corrisponde alle sue. Di questo giuoco, la nostra sinistra è spesso maestra. Non per nulla lo stesso Mussolini veniva dai suoi ranghi”.

Questa citazione dell’intramontabile Indro Montanelli resta ancora attualissima, mentre sui social danno della fascista alla cantante Laura Pausini, colpevole di non aver intonato “Bella Ciao” in un programma radiofonico. Perché oggi funziona così: i politicamente corretti vogliono anche decidere cosa devi fischiettare. Da tempo l’antifascismo, che pure agli albori della Repubblica aveva mille colori (marxista, cattolico, liberale) è stato svilito a clava elettorale da abbattere sulla testa dell’avversario politico. E ogni occasione è buona. Fascisti sono quelli che si rifiutano persino di intonare una canzone; mentre, per esempio, le squadracce che qualche giorno fa hanno aggredito fisicamente dei militanti leghisti, sono passati sotto silenzio. Dov’è la logica?

Così, ogni episodio fa brodo per fare propaganda: anche l’armamentario musicale della Resistenza è diventato un lasciapassare per distinguere i “democratici” da i “criminali”. Il risultato è la scena ridicola di un’artista messa alla berlina perché, per scelta libera, ha deciso di non entrare in qualsivoglia polemica a ridosso della campagna elettorale. Se proprio vogliamo andare ad indagare, solo cinque anni fa la suddetta Pausini dichiarava alla stampa: “Non mi sposo se anche mia migliore amica, che è lesbica, non può farlo”. Insomma, non stiamo parlando certamente di un’artista con tendenze reazionarie. Parliamo semplicemente di una persona libera che nel rispetto di tutti prende libere decisioni.

Eppure, il gran rifiuto musicale è bastato e avanzato per esporla alla crocifissione pubblica dinanzi al tribunale del pueblo dei social. Solo per citare qualche tweet: “Vai a nasconderti, ‘Bella Ciao’ è divisiva solo se sei fascista”. E ancora: “Pausini o è fascista o non vuole inimicarsi una parte politica che potrà tornarle utile”. E ancora: “Se la Pausini non è antifascista, allora vuol dire che è fascista”.

Abbiamo perso il senso delle parole e della realtà. Probabilmente dovremo studiare un po’ di più la storia: sono proprio quelli che intendevano condannare le persone per una canzone in più o in meno, la principale platea degli autoritarismi. Erano quelli che se non canti ciò che piace a loro, ti mettono alla berlina. Quelli che si fanno paladini dei diritti e della “libertà di scelta”, ma solo se la tua scelta coincide con la loro. E’ proprio chi vede fascisti ovunque, che svaluta, così facendo, i valori partigiani alla base della Repubblica. Ma se persino Laura Pausini, la poetessa dei buoni sentimenti fatti spartito, finisce nel calderone degli estremisti, allora vuol dire davvero che il buon senso ha fatto la fine di “Marco”: se ne è andato e non ritorna più.

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